Poteva essere una forte spinta al mondo del lavoro, con una decontribuzione consistente per l'assunzione di giovani, donne e percettori di reddito di cittadinanza. La bozza della manovra di bilancio, però, su questi punti rivela più che altro una spintarella. E con diversi paletti su cui riflettere in vista della discussione parlamentare. Il governo ha stabilito, per giovani under 36 e donne che vengono assunti a tempo indeterminato o stabilizzati da un contratto a tempo determinato, una decontribuzione per tre anni al 100% con un tetto massimo di 6mila euro annui. Di fatto, prorogando al 2023 una norma della legge di Bilancio 2021 che valeva per il biennio 2021-2022. Inoltre, per i percettori del reddito di cittadinanza, a prescindere dall'età e fatto salvo il tetto di 6mila euro, viene di fatto stabilito un periodo di decontribuzione di soli dodici mesi, quando proprio il governo si pone tra i primi obiettivi quello di ricollocare al lavoro quanti più occupabili percettori del sussidio possibili. Inoltre, crea potenzialmente uno sbarramento all'ingresso del mondo del lavoro per i destinatari del reddito: alcuni esperti, consultati da Il Giornale, fanno notare come venga meno l'incentivo per un datore di lavoro assumere un 50enne percettore del reddito se può assumere un under 36 con un beneficio triplo.
Ma tra gli aspetti che più non convincono, anche tra le fila del centrodestra, è quel tetto massimo alla decontribuzione di soli 6mila euro all'anno che va a sgravare le imprese della parte del 23,81% di contributi previdenziali che è a loro carico. Si tratta di un tetto stringente, che rende la decontribuzione veramente al 100% solo per chi andrà a guadagnare poco più di 25.000 euro lordi all'anno. Una cifra che, con differenze regionali in funzione delle varie addizionali, dovrebbe corrispondere a un netto in busta mediamente intorno ai 1.450 euro per 13 mensilità. Per tutti gli altri, invece, il datore di lavoro dovrà pagare la differenza. Insomma, per i redditi lordi più elevati, l'assunzione a tempo indeterminato e la conversione da tempo determinato a indeterminato avrebbe una decontribuzione solo parziale, con il rischio che ci sia un incentivo per le imprese a mantenere compensi il più bassi possibile quando si parla di under 36 e donne, che già sono quelli che guadagnano meno.
Discorso, in parte, collegato è quello sul taglio del cuneo fiscale. Il governo ha confermato il taglio del 2% dall'ex premier Mario Draghi, aggiungendo un altro punto di sconto sui contributi a carico del lavoratore per tutti i dipendenti con redditi inferiori a 20mila euro lordi. Anche su questo punto, però, gli esperti consultati da il Giornale fanno notare come il taglio dei contributi previdenziali, esiguo e del valore di poche centinaia di euro all'anno, vada in realtà ad aumentare la base imponibile di Irpef e addizionali regionali. L'effetto è che, almeno in parte, il taglio venga riassorbito dalle altre imposte.
La Confindustria non ha gradito e definito «non risolutivo» l'intervento del governo sul cuneo.
Il capo degli industriali, Carlo Bonomi, aveva chiesto un intervento da 16 miliardi di euro, da dividere per due terzi ai lavoratori e un terzo alle imprese per cercare di andare ad aumentare le buste paga dei redditi almeno fino a 35mila euro, quelli che più di tutti stanno subendo la perdita di potere d'acquisto per l'inflazione. Le risorse, per Confindustria, si sarebbero potute trovare con una rimodulazione della spesa pubblica del 4-5 percento.
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