Ci sono le polemiche che da sempre accompagnano la giustizia italiana. Lui prova ad andare oltre: «Non abbiamo varato qualche norma spot. No, dopo una lunga riflessione, abbiamo messo mano alla prima riforma di sistema, nel segno delle garanzie per i cittadini e nello spirito della Costituzione». Francesco Paolo Sisto, viceministro in via Arenula, parte dalle promesse fatte: «Noi di Forza Italia avevamo preso un impegno con i cittadini, ora possiamo dire di averlo mantenuto, anche se naturalmente la strada è ancora lunga».
Si è molto discusso dell'abolizione dell'abuso d'ufficio. Era propria necessaria?
«Sì. I dati sono impressionanti: migliaia di processi aperti e pochissime condanne. Con un grande dispendio di energie e di risorse per le difese. Così, invece, si fluidifica di nuovo il rapporto fra i cittadini e le pubbliche amministrazioni».
Ma allora perché avete appena introdotto il peculato per distrazione nel decreto sicurezza?
«La scelta risponde ad una direttiva europea, PIF, ma è lontana anni luce dal vecchio abuso, riguarda un caso ultra specifico. Se io dirotto i soldi pubblici altrove, contravvenendo in modo plateale alle tassative indicazioni della legge, procurando un vantaggio patrimoniale o un danno ingiusti, è giusto che intervenga il diritto penale. Ma parliamo di situazioni circoscritte, come detto, senza margini di discrezionalità».
E il traffico di influenze?
«Si segue la stessa linea di concretezza nei comandi normativi: l' illecito è stato tipizzato, come si dice in gergo, non eliminato. Nessun colpo di spugna, semmai un passo in avanti per chiarire e togliere margini di ambiguità alla norma. Ma ripeto, tutti gli interventi che abbiamo realizzato e quelli che seguiranno, fino alla separazione delle carriere, che sarà la vera riforma strutturale, hanno lo scopo di tutelare il cittadino, sempre secondo giustizia».
Si arriva all'interrogatorio dell'indagato prima dell'eventuale arresto. Non è un controsenso?
«Per niente: talvolta le misure cautelari si rivelano ingiuste oppure sproporzionate. Ecco, se l'illecito non è di rilevante gravità e non c'è il rischio d'inquinamento delle prove o pericolo di fuga, si può giocare d'anticipo. Anche questo è un paletto di civiltà che nulla toglie all'accertamento di quel che è accaduto».
Il gip collegiale manderà in tilt i tribunali?
«Certo, il tema delle incompatibilità è all'ordine del giorno, ma ci siamo dati due anni per completare questo passaggio delicato e ci saranno almeno 250 ulteriori assunzioni di magistrati. Capisco le obiezioni, ma noi non ci accontentiamo. Vogliamo ridurre gli errori, con gravi conseguenze sulla libertà personale, e un collegio di tre giudici ci sembra soluzione più adeguata».
Non c'è il rischio di dare un colpo mortale ad un sistema che già funziona male?
«No, assolutamente. Non stiamo sfornando provvedimenti slegati fra di loro, ma cerchiamo di garantire uno standard elevato, al servizio della cittadinanza. Prendiamo l'informazione di garanzia: oggi è un foglio che il malcapitato indagato si rigira fra le mani, senza capire».
Domani?
«Il provvedimento conterrà una descrizione del fatto contestato. E poi l'informazione sarà segreta fino alla fine delle indagini».
Ma così l'opinione pubblica saprà le cose con grande ritardo.
«Diciamo sempre che l'informazione di garanzia è a tutela dell'indagato, ma sappiamo che oggi troppe volte non è così. Il processo mediatico distrugge vite e reputazioni, ancora prima di arrivare al dibattimento.
La prima protezione non può che essere la riservatezza. E lo stesso principio, un principio di civiltà come ci insegnava Silvio Berlusconi e come ripete oggi Antonio Tajani, vale per le intercettazioni. No alla pubblicazione indiscriminata. È la grande lezione del garantismo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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