Punta a una coalizione internazionale contro l'Iran ma nell'immediato non intende reagire all'attacco della Repubblica islamica, il primo sul suolo israeliano dal 1979, da quando in Iran è stata instaurata la teocrazia degli ayatollah che vuole la distruzione di Israele. «Abbiamo approvato dei piani operativi sia offensivi che difensivi» ha spiegato il portavoce dell'Esercito, Daniel Hagari. «Siamo pronti e all'erta, valutiamo ogni scenario e al momento non intendiamo estendere le nostre operazioni militari». Secondo fonti della tv israeliana Kan, Israele avrebbe anche deciso di rinviare l'invasione di Rafah, nella Striscia di Gaza.
A frenare la reazione israeliana, secondo il New York Times avrebbe contribuito in maniera decisiva Joe Biden, nella telefonata di ieri notte con «Bibi», seguita dal successo del sistema di difesa a protezione di Israele, grazie anche al decisivo intervento militare congiunto di Usa, Gran Bretagna, Francia ma anche di Arabia Saudita ed Emirati arabi, che hanno fatto scudo a Israele. Biden si è congratulato con Netanyahu per il risultato militare e l'Esercito israeliano con il Comando centrale statunitense. E per ora non ci sarà risposta all'Iran da parte di Israele, una controffensiva alla quale gli Stati Uniti hanno fatto sapere in ogni caso che non parteciperebbero. «Costruiremo una coalizione regionale ed esigeremo un prezzo dall'Iran nel modo e nel momento opportuno», ha spiegato Benny Gantz, membro del Gabinetto di Guerra dal 7 ottobre.
Se Israele può gloriarsi di un successo militare, senza vittime né danni, Netanyahu non può derubricare a semplice provocazione le intenzioni iraniani. L'Iran ha il più grande arsenale di missili balistici in Medio Oriente, in gran parte prodotti internamente e che invia alla Russia. È sull'orlo dell'arma nucleare e si è rafforzato a livello regionale, anche se non ha la capacità di rispondere a un attacco mirato, né sul piano della contraerea né dei jet da guerra. Israele deve fare i conti con una potenza regionale amica di Russia e Turchia e che prolifera sotto il mantello della Cina. Per questo serve compattare, ora più che mai dopo che Israele è finito di nuovo sotto attacco a sei mesi dal 7 ottobre, tutte le forze che hanno contribuito a respingere l'aggressione, non solo Stati Uniti e Gran Bretagna, ma anche la Francia che ha giocato un ruolo nella difesa di Israele, come la Giordania e l'Egitto. Infine i sauditi, che temono di essere i prossimi obiettivi di Teheran.
Nessuno vuole l'escalation ma tutti si preparano. Dopo aver definito «una delle notti più drammatiche» quella vissuta ieri da Israele, anche il ministro della Difesa Yoav Gallant punta su una coalizione: «È il momento di costruire un'alleanza contro l'Iran. Il confronto con Teheran non è ancora finito» e che «gli israeliani devono essere pronti a ogni scenario». Anche Gantz ha parlato con la ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock della necessità di un fronte unito «globale». Israele chiede anche segnali sul piano internazionale: il riconoscimento delle Guardie della Rivoluzione, i pasdaran, come organizzazione terroristica e nuove sanzioni per colpire il programma di missili balistici di Teheran. Il presidente Isaac Herzog racconta l'angoscia: «Siamo stati attaccati da quattro angoli del Medio Oriente. È una dichiarazione di guerra. A Teheran c'è un impero del male che spende miliardi solo per destabilizzare la regione».
La vendetta è pronta, da servire, se necessario, al momento giusto: omicidi e raid mirati su obiettivi
iraniani e filo-iraniani, per colpire anche gli alleati dell'Iran, Hezbollah libanesi, Houthi yemeniti e milizie filo-Iran in Siria e Irak e poi, certo, i pasdaran, i Guardiani in divisa dell'ideologia islamista di Teheran.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.