La risposta simbolica degli ayatollah Salva l'onore ferito ma evita l'escalation

La risposta simbolica degli ayatollah Salva l'onore ferito ma evita l'escalation

Il grande spettacolo della vendetta iraniana ha preso l'aspetto di una rappresentazione grottesca, col tragico backstage dei 176 uccisi sull'aereo ucraino caduto o abbattuto. Sul disastro ognuno fantastichi, ma non si saprà mai perché gli iraniani non consegneranno le scatole nere.

Quello che si sa è che l'attacco alle basi americane in Irak, la rappresaglia per l'eliminazione di Qassem Soleimani, è stato prima annunciata e poi pubblicizzata con forza molto maggiore di quella dell'attacco stesso. Ha danneggiato con 6 missili le basi di al Asad e con un razzo quella di Erbil, ma senza uccidere i soldati. Le forze irachene e forse, si dice, anche quelle americane, sono state avvisate prima. Una bella quantità dei 22 missili è stata comunque lanciata in meno di un'ora ma fra le forze Nato non risultano vittime, italiani compresi. In parole povere, è stata una grossa operazione propagandistica, e curiosamente lo ha spiegato twittando il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif rivendicando la risposta «proporzionata», con la quale lo scontro potrebbe concludersi. E quindi, possiamo ricavarne, il bombardamento è stato sufficiente per l'onore ferito della leadership iraniana. Gli iraniani si sono avventurati a parlare di 80 morti, ma il presidente Trump che ha riunito il consiglio di sicurezza alla Casa Bianca anche con il Segretario di Stato Mike Pompeo e il ministro della difesa Mark Esper ha negato questa notizia. Zarif dicendo che l'Iran non cerca la guerra, chiede di fatto anche agli americani di non rispondere; l'operazione compiuta potrebbe essere abbastanza bombastica (in senso tecnico) da dare soddisfazione agli ayatollah. Teheran cioè ha volutamente evitato di fare vittime.

Cosa sta succedendo? L'Iran sta acquistando un atteggiamento più cauto, dopo mesi di escalation guidati e gestiti strategicamente da Soleimani? Per ora quello che si può dire è che l'imprevedibilità di Trump e quindi l'eliminazione del capo militare e terrorista dell'imperialismo iraniano si stanno rivelando un assetto strategico per gli Usa, e di conseguenza gli iraniani non osano avventurarsi oltre i limiti di una roboante minaccia. Probabilmente anche il fatto che tutto il mondo arabo sembra in gran parte contento che un simile mestatore sia sparito e molti esperti dall'Iran ritengono che la popolazione speri che la corrente instabilità possa portare a un cambio di regime. Il mediorentalista Harold Rhode, già al Pentagono, ci spiega che l'Iran ha montato la frenesia con un gigantesco funerale in cui poi però 56 persone sono state uccise; ha piazzato la bandiera rossa sulla moschea di Jamkaran dove la leadership iraniana comunica col messia shiita il Mahdi e la bandiera rossa significa che il martire non è ancora stato vendicato; e ha messo una taglia sulla testa di Trump. Ma - dice Rhode - molti leader iraniani che conoscono a fondo la cultura americana per aver studiato negli States temono che Trump potrebbe fare quello che minaccia, cioè distruggere 52 grandi obiettivi in Iran, che potrebbero costringere il Paese in ginocchio fino alla caduta del regime.

Dunque il regime vuole dimostrare che è in piena vendetta, e per questo spara i suoi missili, ma si tratta semplicemente di un segnale che dice alla comunità internazionale: «Sono forte, prendetevi cura di noi e non attaccateci più, altrimenti proseguiamo su questa strada».

E le vie che il regime può scegliere sono veramente pericolose: sono quella dell'arricchimento nucleare per raggiungere l' atomica, che si dice potrebbe essere realizzata in due mesi; e quella dell'uso dei confini siriani per attaccare Israele. Due giorni fa Putin ha visitato Damasco: di certo è andato a spiegare a tutti i presenti sul luogo, ovvero Assad, gli iraniani, gli Hezbollah, che è meglio che questo non accada.

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