Vittima della «cancel culture», la cultura iconoclasta, figlia del movimento antirazzista Black Lives Matter, che vuole rimuovere dai luoghi pubblici personaggi simbolici, legati al passato coloniale e in odore di discriminazione. Vittima anche della faida famigliare che il nipote Harry e sua moglie Meghan stanno consumando maldestramente, tra attacchi senza precedenti proprio sul razzismo a Corte e tributi a Elisabetta II, in onore della quale i due hanno chiamato la secondogenita Lilibet Lili Diana, con il nomignolo di Sua Maestà da bambina.
Povera Regina. A un anno di distanza dai festeggiamenti per i 70 anni di Regno, a due mesi dalla perdita del marito Filippo, a pochi giorni dalla nascita della pronipote Lili Diana, Sua Maestà si trova impelagata in due faccende imbarazzanti per lei e per il Paese. È un mix di pubblico e privato che alla fine conferma quanto Elisabetta II resti un'icona, simbolo perfetto e bersaglio ideale sia per un gruppo di cervolloni «progressisti» di Oxford, in lotta con il passato, che per il nipote anche lui in guerra contro i suoi demoni e la sua infanzia nobiliare, in un intrigo che rende Elisabetta anche un personaggio pubblico capace di intrattenere i più assettati gossippari del mondo.
La prima faccenda è di certo seria e al tempo stesso «assurda», come l'ha definita il ministro dell'Istruzione Gavin Williamson. Un gruppo di studenti di Oxford, membri di un comitato ristretto di laureati al Magdalen College, hanno votato per la rimozione di un ritratto di Sua Maestà, realizzato su una foto del 1952, dalla sala comune in cui si riuniscono. Rappresenta un simbolo sgradito «della recente storia coloniale» britannica, dicono per spiegare che lo faranno sparire, così come sono state abbattute le statue di Cristoforo Colombo negli Stati Uniti e sfregiata quella di Winston Churchill a Londra. Allibito dalla mossa il ministro Williamson, che ha appena presentato una proposta di legge per contrastare la cancel culture nelle università: «È assurdo. La Regina è il capo dello Stato e un simbolo di ciò che c'è di meglio nel Regno Unito».
Eppure, per uno strano incrocio del destino, la crociata di Oxford si intreccia con la denuncia di Meghan, Harry (e Oprah Winfrey), dalla loro fuga californiana, contro il razzismo latente che si respirerebbe a Corte, e tutto ciò pochi giorni dopo che gli archivi nazionali hanno svelato come fino agli anni '60 la Corona non assumesse «immigrati di colore e stranieri» come dipendenti, ma lo facesse invece per il ruolo di domestici.
Una fila di fuoco su Sua Maestà. Condita con una spolverata di nuove incomprensioni famigliari. In onore della Regina, Harry e Meghan hanno chiamato la figlia Lilibet «Lili» Diana, con il nome della principessa defunta, preceduto dal nomignolo con cui Sua Maestà veniva chiamata da bambina. La decisione sta creando ulteriori imbarazzi e sembra già aver avvelenato qualsiasi presunta buona intenzione della coppia. La Bbc, citando una fonte anonima di Buckingham Palace, ha fatto sapere che alla Regina non era stato chiesto il permesso di potere usare il suo diminutivo e che lo «sgarbo» l'avrebbe irritata.
«La nonna è stata la prima persona con cui ho parlato», smentisce Harry, spiegando che se la Regina non fosse stata favorevole, «non avrebbero mai utilizzato il suo nome» e diffida la Bbc dal diffondere ancora la «falsa notizia». Lei pare abbia convocato il nipote a Palazzo per luglio, quando Harry sarà a Londra per l'inaugurazione della statua della madre. Sempre che la cancel culture non faccia rimuovere anche Lady Diana.
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