La rivincita di San Suu Kyi: birmani alle urne in massa

Se la leader dell'opposizione vince sarà autonoma a metà. I ministeri chiave come Interni e Difesa li decidono i generali

Aung San Suu Kyi durante un comizio in campagna elettorale
Aung San Suu Kyi durante un comizio in campagna elettorale

L'ultima volta era stato nel 1990. In quell'anno ormai lontano la Lega nazionale per la democrazia (Nld) guidata da Aung San Suu Kyi aveva ottenuto una larghissima vittoria, evidentemente troppo per i generali birmani che decisero di annullarla d'autorità e di instaurare un regime filocinese. Da allora la coraggiosa leader democratica, che nel 1991 ha ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 1991 dovette accettare 25 anni di negazione dei diritti politici e 15 di una vita da reclusa nella sua casa alla periferia della capitale Rangoon (o Yangon, come preferivano che si dicesse i militari che avevano anche cambiato in Myanmar il nome stesso del Paese), rifiutando addirittura di andare in Inghilterra a visitare il marito fatalmente malato perché sapeva che non le sarebbe mai stato concesso di tornare in patria. La paranoica giunta militare non osò però mai usare la violenza nei confronti di una leader politica che - come ben sapevano i generali - gode di ampio rispetto e popolarità presso il popolo birmano, che vede in lei - figlia dell'eroe dell'indipendenza Aung San, assassinato nel 1947, l'unica leader in grado di restituire al meraviglioso Paese orientale la libertà perduta di fatto da oltre mezzo secolo.

Il processo che ha consentito di arrivare ieri a elezioni politiche ragionevolmente libere è stato lungo e complesso. Già nel 2012 la giunta aveva ceduto il potere a un governo civile, formato comunque da ex generali, che ha iniziato una serie di riforme politiche ed economiche. Nel 2013 a Suu Kyi è stato consentito per la prima volta in 24 anni di uscire dal Paese. Una Costituzione addomesticata dai militari vieta espressamente alla leader democratica, ormai settantenne ma ancora determinata e combattiva, di assumere il ruolo di presidente della Repubblica «in quanto vedova e madre ci cittadini stranieri», ma Suu Kyi ha chiarito che se il suo partito vincerà lei guiderà il governo, in un ruolo «al di sopra del presidente». Questo non significa che potrebbe fare scelte del tutto autonome: ministeri chiave come Difesa, Interni e Aree di confine, saranno comunque scelti dall'esercito.

La questione è ora se le elezioni le avrà effettivamente vinte. Il fatto che i birmani si siano recati in massa a votare, cogliendo la prima occasione loro offerta in un quarto di secolo, fa ritenere che l'attuale opposizione sia favorita. Nella notte sono stati resi noti i primi risultati, che secondo anticipazioni dovrebbero vedere l'Nld vincente. Ma considerato che la Birmania è un Paese molto vasto con collegamenti ancora molto arretrati, i dati completi non saranno disponibili prima di una settimana, e comunque il governo attuale rimarrà insediato addirittura fino a marzo prossimo.

La probabile vittoria della Lady di Ferro birmana sarà comunque annacquata da un sistema di regole che i generali hanno organizzato con il preciso scopo di impedirle di governare liberamente e forse anche di prepararle qualche trappola qualora Suu Kyi insistesse troppo nel pretendere di comandare per davvero.

E in effetti, nessuno potrebbe dirsi realmente sorpreso se le capitasse qualche brutta sorpresa. Intanto, i suoi sostenitori, che ieri erano riuniti a migliaia davanti alla sede centrale dell'Nld, si godono una giornata memorabile.

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