Che fretta vuoi che ci sia. Lo sanno i santoni sulla cima della montagna, con un telo al posto delle mutande e i capelli chilometrici, che il cammino è lungo, e la prima lezione da imparare è la pazienza. Lo sanno gli automobilisti e i pedoni, inguaiati nel traffico impossibile delle megalopoli, che non c'è urgenza maggiore che fermarsi per far passare una mucca. Che cosa vuoi che sia, nel ciclo infinito di morte e rinascita, dover aspettare un certo 2023, per reincarnarsi nella nuova superpotenza mondiale? Ecco, l'India atterra sul lato oscuro della Luna e tutti la vedono rifulgere per quella che è (sempre stata): una culla immensa di talenti, intelligenza, raffinatezza, avanguardia, bellezza, capacità. Un tesoro mescolato al fango delle strade perché, come cantava De André, dal letame nascono i fiori, mica dai diamanti, e gli indiani, che della filosofia di integrare gli opposti sono maestri da millenni, lo sanno benissimo. Qualcuno pensava che fossero ancora uno di quei Paesi «in via di sviluppo», come ci insegnavano sui banchi di scuola nelle ore di geografia; qualcuno pensava che fossero ancora alle prese col retaggio da ex colonia britannica (e certo l'Impero ha fatto i suoi saccheggi e i suoi danni); qualcuno pensava che ci fossero ancora per le strade Gandhi e Madre Teresa... Invece, tanto per dire, è dal 1969 che l'India ha una sua agenzia di ricerca spaziale (la Isro), inizialmente «solo» per lanciare satelliti per il meteo e le comunicazioni con l'aiuto di tecnologie straniere; poi, dagli anni '90, la produzione è diventata locale, tecnologia, design e menti indiane. Del resto l'informatico di Mumbai è da anni un mito del settore: è qui che stanno investendo Google, Microsoft, Apple e Amazon, e il valore dell'Information technology indiano è stimato intorno ai 245 miliardi di dollari, nel 2023. Anno in cui l'India è diventata anche il colosso demografico del pianeta, superando la vicina Cina, con 1,4286 miliardi di abitanti. Anno in cui Netflix ha deciso di puntare sul pubblico del subcontinente e in cui Bollywood si è definitivamente imposta come l'unica vera alternativa allo strapotere dell'originale mecca del cinema. Del resto, le immagini giunte ieri dalle città indiane sarebbero state perfette in un film bollywoodiano: un vero trionfo nazionale, festeggiato su larghissima scala, dalla Presidente Murmu al premier Modi, dalle stanze serissime della «città della scienza» di Gujarat alle strade straripanti di gente con il tricolore e i cartelli, strade che sono esattamente come nelle fotografie classiche dell'India, insomma caotiche e ricoperte in ogni centimetro quadrato, disponibile e soprattutto non disponibile. La scienziata indiana Raji Rajagopalan ha detto alla Bbc che «l'atterraggio sulla Luna non è solo una questione di orgoglio nazionale, ma dimostra al mondo quanto sia maturo e sofisticato il programma spaziale indiano». Al punto che la missione (riuscita) è costata 75 milioni di dollari, ossia meno della metà di quella russa da 200 milioni, fallita pochi giorni fa. Al punto da avere centrato la zona lunare più ambita dalle potenze globali, perché, come ci ha spiegato Tim Marshall, autore di La terza dimensione delle mappe (Garzanti, 2023) «lì ci sono il ghiaccio e la maggior parte dei metalli rari di cui andiamo a caccia». Sul lato oscuro, gli indiani sanno bene che cosa cercare.
Che poi, è da tremila anni che le Upanishad ci avvertono: «Hanno torto, quelli che mi escludono. Io sono le ali, quando volano; io sono il dubbioso e insieme il dubbio. Io sono l'inno che il brahmino canta». Anche sulla Luna, da ieri.
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