La rivolta degli imprenditori "Di Maio non è uno di noi"

I giovani industriali bocciano il grillino e sconfessano il loro presidente: «La pagella rimane insufficiente»

La rivolta degli imprenditori "Di Maio non è uno di noi"

«Luigi Di Maio? Non è uno di noi, e non lo sembra nemmeno da lontano, anche se ultimamente vuole aggiustare la mira...». Lo dice senza sconti Alessio Rossi, presidente dei giovani di Confindustria. Da Borgo Egnazia, gioiello turistico della Puglia più cool, arriva un messaggio molto chiaro, dopo le parole - subito precisate in un'ottica di dialogo aperto con il governo - pronunciate l'altro giorno dal numero uno di Viale dell'Astronomia, Vincenzo Boccia. Rossi spiega: «Nessuno vuole creare contrapposizioni generazionali, ma parlano i fatti (pochi) finora realizzati dall'esecutivo gialloverde. Come categoria dobbiamo restare equidistanti dalla politica e dai partiti. Ma la nostra pagella non è cambiata nelle ultime settimane: resta insufficiente».

Per capirlo basta ascoltare la platea degli imprenditori arrivati da tutta Italia, settecento coraggiosi capitani di impresa, trentenni e quarantenni connessi e rampanti, con una precisa visione del momento che sta attraversando il Paese. Orgogliosi, determinati, arrabbiati, mai disfattisti, chiedono che a Roma si cambi rotta, e al più presto. Lo fanno con ironia quando serve, commentando dal palco i numeri horror della congiuntura economica: Pil a zero virgola, occupazione in calo, debito fuori controllo. «Ma queste cifre vanno date col sorriso sulle labbra, altrimenti Salvini ci dà dei gufi...».

Nella masseria fortificata va in scena per la prima volta un confronto con dieci direttori delle principali testate di quotidiani, radio e tv, con il direttore del Giornale Alessandro Sallusti protagonista di un vivace dibattito sull'immigrazione e il multiculturalismo, presunti tolleranti e vero «razzismo». Così emergono le istanze di una maggioranza silenziosa, che continua a lavorare nonostante le sparate, le liti e gli equilibri ballerini dalle parti di Palazzo Chigi. I temi che scaldano di più, guarda un po', sono gli stessi che occupano i titoli dei giornali. Con una sorpresa, però. Nessuna contrapposizione tra Nord e Sud, perché le priorità dell'azienda siderurgica lombarda assomigliano più da vicino del previsto a quelle del caseificio campano. Certo, poi ci sono i bisogni «localizzati», rappresentati dai diversi distretti. Gli imprenditori si sfogano ad alta voce. C'è il «gruppo» dei piemontesi e dei liguri preoccupati dal minacciato blocco della Tav, ci sono i toscani spaventati da un accordo «troppo frettoloso» con il gigante cinese, i lombardi esterrefatti per i tagli milionari decisi dal governo sulle misure a favore dell'industria 4.0, i padroni di casa pugliesi che ancora si arrabattano con il rebus della fatturazione elettronica.

Insomma, il famoso «Paese reale» si riflette nei volti e nelle storie di uomini e donne che hanno a cuore la propria azienda come il futuro dei propri dipendenti. Qualcuno, proprio il ministro grillino dello Sviluppo economico, fino a ieri li chiamava «prenditori». «Per questo - conclude il presidente Rossi - ora conta solo che si cambi rotta per davvero, non con le dichiarazioni di facciata. Se ancora non si è capito, ci interessano un paio di misure immediate: taglio del cuneo fiscale, a beneficio innanzitutto dei lavoratori, e decontribuzione per tre anni a chi assume under 35». Grandi firme e giovani imprenditori sono d'accordo: la dignità non viene da un reddito assistenzialista. E la crescita non passa dai Def-slogan, ma da quanto si investe nel Paese che produce.

Un bonus, quello sì, si sta esaurendo. È la fiducia nel governo del cambiamento. «Già, ma solo delle opinioni nei nostri confronti», come sottolinea una delegazione romana giusto davanti al manifesto che invita tutti al voto per le prossime Europee.

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