I figli? In caso di divorzio possono andare a stare con papà. Perché i genitori hanno uguali diritti e doveri, ma pure per favorire «la diminuzione del numero di padri disimpegnati e madri proprietarie».
Il principio che fa piazza pulita di luoghi comuni e tare culturali e giuridiche arriva da Catania. Viaggia nell'ordinanza con cui il tribunale etneo ha regolato la fine di un amore tra un marito e una moglie che avevano scelto la via giudiziaria per dirimere la controversia insorta intorno al destino del bimbo nato durante il matrimonio. Incroci ricorrenti, nell'Italia dei divorziati: nel 2015, attesta l'Istat, complice l'introduzione del divorzio breve, gli addii definitivi sono stati 82.469 (il 57% in più rispetto al 2014) e le separazioni 91.706 (+ 2,7%). Gli ex sposini siciliani hanno però incontrato sul loro cammino il giudice Felice Lima, già pm antimafia oggi in servizio nel settore civile. Nel 2008, con editto pubblico, i vertici di «Movimento per la giustizia» - costola di sinistra dell'Anm - lo cacciarono persino dalla mailing list della corrente per aver osato invocare l'indipendenza della magistratura dalle cordate interne. Con la stessa determinazione ha ora aperto una breccia nell'orientamento consolidato della Cassazione in materia di collocazione dei minori in caso di divorzio. E con poche righe ha spazzato via antichi pregiudizi, stabilendo che una volta dissolto il vincolo coniugale i figli possano andare a vivere anche coi padri, e non per forza con le madri.
La vicenda si inquadra nella cornice giuridica con cui, nel 2006, il Parlamento ha introdotto, con l'istituto dell'affido condiviso, la norma dell'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale. Tuttavia, quanto all'individuazione della residenza del minore, nessun dubbio ha mai intaccato la regola della collocazione presso la casa materna, sempre applicata fatta salva l'oggettiva incapacità della madre magari perché malata, alcolizzata o detenuta di badare alla prole. Un indirizzo reso granitico dalla Suprema Corte e confermato, da ultimo, a settembre: «Il minore deve essere sempre collocato presso la madre perché è quella che meglio garantisce il rispetto dell'altro genitore e il mantenimento dei rapporti con questi». Di tutt'altra opinione, però, il tribunale di Catania. «Vi è una tendenza diffusa - si legge nell'ordinanza a firma Felice Lima - ad affrontare il tema del collocamento dei figli sulla base di un non confessato pregiudizio di fondo per il quale i figli piccoli sarebbero principalmente delle madri; ai padri verrebbe solo consentito di esercitare diritti e doveri; il collocamento naturale dei figli dovrebbe essere presso la madre, mentre quello presso il padre dovrebbe ritenersi innaturale ed eccezionale e il provvedimento che lo dispone abbisognevole di motivazioni particolari e straordinarie».
Diversa, invece, secondo il giudice catanese, la realtà: «In base allo stato del diritto e dei principi etici condivisi nel nostro Paese, i figli sono di entrambi i genitori. In mancanza di prove del contrario, entrambi sono idonei a esercitare le loro responsabilità e a divenirne collocatari». Così, dopo una perizia medico-attitudinale, il tribunale ha disposto il collocamento del fanciullo nella residenza paterna.
Fissando a carico della madre «l'obbligo del versamento di un assegno mensile di 500 euro, a titolo di mantenimento».La rivoluzione è servita: alle falde dell'Etna, la legge è uguale per tutti. Finalmente, anche per i padri.
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