Fa un certo perverso piacere che l'Italia assaggi l'Onu in tutta la sua sfacciataggine e doppio standard adesso che annuncia santificate spedizioni (non magari come i peacekeeper che sono accusati di stupro o come i distributori di fondi internazionali che lucrano sulle miserie umane) per verificare quanto l'Italia viola i diritti umani. Così magari comincerà un processo di revisione del suo rapporto con l'Onu, forse smetterà di votare o al massimo di astenersi mentre cerca di compiacere le maggioranze automatiche che condannano solo Israele (come quando il 23 dicembre 2016 Obama fece astenere gli Usa su una mozione-tradimento, che sovvertiva la cautela tradizionale che aveva sempre tenuto come punto di riferimento la risoluzione 242, e non la condanna palestinese unilaterale degli insediamenti), o si associano nelle organizzazione dell'Onu come l'Unesco a gesti inconsulti, come dichiarare il Muro del Pianto retaggio musulmano.
Tutte le istituzioni legate all'Onu sono squalificate agli occhi di ogni buon senso, e fra di esse il Consiglio per i Diritti Umani, e persino la Corte di Giustizia Internazionale: l'associazione all'Onu di decine di organizzazioni diventa di anno in anno più imbarazzante. Il loro comportamento, che per altro costa un occhio della testa ai contribuenti di tutto il mondo, è sempre orientato verso la protezione dei tiranni e copre le loro violazioni dei diritti a discapito dell'atteggiamento occidentale, che certo non è perfetto ma che se non si accucciasse per ricevere una carezza dai suoi nemici forse riuscirebbe a ottenere qualche cambiamento. Perché? È semplice: su 193 stati membri, 119 appartengono al gruppo dei cosiddetti «Non Allineati», e di questi 57 sono parte del gruppo islamico. I Paesi che vengono classificati liberi dalla Freedom House sono meno della metà. Quindi, pensare che in assemblea si assista a un dibattito democratico è assurdo perché i delegati rappresentano Paesi che non sanno neppure dove la democrazia sia di casa. A giugno Nikki Haley, l'ambasciatrice americana, che dall'inizio del suo mandato è stata un'esemplare portatrice di verità, ha annunciato che il suo Paese lascia il Consiglio per i Diritti Umani, dove la situazione è marcia: i membri delle 47 nazioni elette allo scopo, sono elette per tre anni, Africa e Asia hanno 13 seggi, l'America Latina e i Caraibi 8, l'Europa Occidentale e altri, incluso il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda 6 e l'Europa dell'Est 6. Siamo in minoranza. La stragrande maggioranza ha pessimi record nei diritti umani, dal Venezuela, alle Filippine, all'Etiopia a Cuba... e via via fino a tutti i Paesi arabi che fanno centinaia di migliaia di morti o esercitano violenza e assassinii di massa senza che nessuno protesti.
La lista delle follie è infinita: l'Iran nella commissione per i diritti delle donne, la Siria in quella per il disarmo, la mancanza di una risoluzione che definisca il terrorismo, Erdogan, cinesi, russi e iraniani passati indenni attraverso mesi e anni di riunioni, Rwanda e Sudan quasi ignorati e così altri stermini e eccidi di massa. E quindi non è che non ci sia da interrogarsi sui problemi dei rifugiati e dei migranti... Parliamone, è un tema difficile, ci muoviamo in un universo di domande in cui le risposte sono tentativi di rimediare in fretta decenni di indifferenza e di colpevole assenza. Ma vogliamo dire che la decisione della Bachelet è inquisitiva e sostanzialmente sciocca, una risposta politica al carattere del governo italiano che viene visto come ormai connesso ai grandi cambiamenti che investono tutta Europa. Non è questo il modo di discuterne. Non è l'Onu che può giudicare. L'Onu che con la conferenza di Durban «contro il razzismo» del 2001 ha dato il via a un'ondata di antisemitismo fino ad allora vergognosa, sconosciuta, contenuta.
L'Onu promuove la polarizzazione, avalla la semplificazione, magnifica l'arretratezza. Bisogna rispondere con un sorriso di compatimento, un rifiuto, ma anche una grande discussione in cui l'Italia si ponga con complessità di pensiero, sincerità, larghezza di vedute. Come Nikki Haley.
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