Tra le molte roboanti promesse della campagna elettorale di Donald Trump, quella sulla risoluzione del conflitto in Ucraina «in 24 ore» spiccava per ottimistico decisionismo. A Kiev quest'affermazione categorica aveva sparso, se non il panico, l'angoscia: come avrebbe potuto Trump conseguire un simile risultato se non imponendo all'Ucraina invasa dalla Russia dolorose rinunce, territoriali e non solo, pur di placare la volontà di potenza di Vladimir Putin? E come aspettarsi un trattamento amichevole da parte di un presidente che aveva definito «abile commerciante» il collega ucraino Volodymyr Zelensky e i cui più vicini collaboratori, dal suo vice JD Vance a Tulsi Gabbard fino allo stesso figlio del presidente eletto, Donald junior, avevano messo in chiaro che a loro del destino dell'Ucraina non importava nulla, che Putin aveva ottime ragioni, e che «il tempo delle paghette americane» doveva considerarsi finito?
Nel frattempo, Trump ha rivisto le sue tempistiche: ora assicura che in sei mesi sistemerà tutto. Ma è il modo in cui il nuovo presidente degli Stati Uniti progetta di porre fine alla guerra che continua ad angosciare gli ucraini: Trump ha chiarito che intende presto incontrare Putin, che l'incontro sarà preceduto da una produttiva telefonata tra i due presidenti, passando non solo sopra la testa di Zelensky, ma anche sopra quelle dei leader di un'Europa che è pure direttamente interessata al destino dell'Ucraina invasa. Nel discorso d'insediamento si è definito «pacificatore e unificatore». «Misureremo i nostri successi non solo sulle battaglie che vinciamo ma anche sulle guerre a cui metteremo fine e in cui non siamo mai entrati», promette, salvo minacciare apertamente Panama di «riprendersi il Canale per la sua pessima gestione affidata ai cinesi»: una sua tipica confusione.
Nessun accenno da parte di Trump a considerare l'Ucraina parte offesa e di fatto alleata degli Stati Uniti. Il nuovo presidente si limita a voler terminare la guerra, non importa troppo come. Il suo vero obiettivo è di potersi rivolgere agli americani dicendo: dopo la tregua a Gaza, ho posto fine a un conflitto pericoloso e noi non vi saremo coinvolti. Di poter dire agli europei: questo è affar vostro, pensateci voi, pagatevelo voi. Di poter dire a Putin: faccio la voce grossa con te in pubblico, ma ti permetterò di arraffare ciò che non è tuo purché tu prometta, almeno per un po', di non crearmi problemi e di accontentartene.
Aspettarsi il peggio dalla nuova Amministrazione americana è dunque inevitabile per Kiev. Zelensky sa benissimo che a Trump della causa del suo popolo non importa un fico secco. Certamente, però, non gli conviene dirlo, e deve giocarsi tutte le sue carte. Più che manifestare disprezzo verso un presidente Usa cinico e ignaro di fondamentali valori comuni, gli conviene sfoggiare piaggeria verso di lui. Ed ecco le sue lodi della capacità di Trump di ristabilire la pace attraverso la forza, illudendosi che la orienterà verso Putin; la sua disponibilità sofferta a discutere di «temporanea cessione di sovranità» su parte dell'Ucraina occupata dai russi; l'offerta di
lucrosi business sulle terre rare di cui il suo Paese è ricco e perfino di mettere a disposizione contingenti di militari ucraini per rimpiazzare quelli americani schierati a difesa dell'Europa. A proposito della quale, non va dimenticato che è nostro interesse prioritario che la questione ucraina non venga gestita senza la partecipazione degli europei. Lo ha detto chiaramente ieri il presidente francese Macron e lo ha manifestato con i fatti pochi giorni fa il premier britannico Starmer, siglando un'intesa militare di lunghissima durata con Kiev.
A differenza di Trump, gli alleati europei di Zelensky comprendono che la difesa dell'Ucraina è garanzia della nostra sicurezza, e vogliono che Zelensky possa negoziare da una posizione di forza. Il problema è che la forza degli europei sembra troppo poca cosa per un tale compito.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.