Carolina De Stefano, docente di Storia e Politica russa alla Luiss, autrice del libro Storia del potere in Russia, dagli zar a Putin (Scholé). Vediamo memoriali e sdegno nel mondo, capannelli contro lo zar in molte ambasciate e arresti nella Federazione. Avrà un seguito questa rabbia in vista del voto di marzo?
«No, o almeno questo è il calcolo di Putin. Bisogna smetterla di dire che non aveva interesse a uccidere Navalny prima delle elezioni perché c'è un messaggio chiaro alla popolazione. E cioè che nessuna forma di dissenso è permessa. I russi all'estero, milioni ormai, sono quelli che Putin ha voluto far andar via. Ci ha provato anche con Navalny, quando l'ha fatto avvelenare. Lui ha deciso di tornare. È sbagliato dire che l'opposizione muore del tutto, ma ora non potrà esprimersi per un bel po'».
Perché dice «ha voluto far andar via»?
«Putin sta ripulendo il Paese da quelli che considera traditori. Dalla guerra in Ucraina, un po' per protesta, un po' per paura d'esser mobilitati, un po' per ragioni politiche. Ai suoi occhi sono tutti traditori che non devono tornare. La Costituzione russa è stata modificata con referendum nel 2020. Nessuna persona che negli ultimi 25 anni abbia avuto alcuni mesi di residenza all'estero può partecipare alle elezioni; chiunque abbia un conto all'estero non può rientrare. Il sistema punta a non considerarli russi autentici, c'è disprezzo per chi ha avuto una vita al di fuori di quella che per Putin è la vita pura, autentica, ovviamente sotto il suo controllo politico».
La morte di Navalny cambia qualcosa nell'apparato di potere in Russia? Si parla di divisioni tra Servizi segreti...
«Gli equilibri credo siano quelli che ci sono, della cricca putiniana che dipende da Putin e fa funzionare il sistema; più militarizzato dal 2022. Non vedo impatto sull'élite, ma un'involuzione progressiva che ci riporta allo stalinismo. Prima di Navalny non era sancito. Nessuno si aspettava sopravvivesse, ma ora, ammazzato in un gulag l'unico oppositore politico, senza nemmeno dare il corpo ai familiari, è l'inizio di un nuovo terrore».
Resta la domanda: Putin ora è più debole o più forte?
«In assoluto sono segnali di debolezza, di un regime entrato in una spirale da cui non può più uscire. Se imponi questa pressione, violenza, sacrifichi migliaia di persone per una guerra che hai lanciato, sei debole, e non hai via d'uscita quando sei un leader autoritario senza successione. Ma se guardiamo all'andamento della guerra, e in vista del voto, Putin è più forte. Non perché ha ucciso Navalny, ma perché il sistema sta reggendo al conflitto, non è in crisi. È sbagliato leggere ogni cosa che Putin fa come segnale che porterà a un crollo. Non ci aiuta a capire che Russia abbiamo di fronte. Inefficiente, colpita da sanzioni, ma ha riconvertito le sue fabbriche. Stravincerà a marzo».
È morto davvero l'ultimo avversario dello zar?
«C'è l'elemento imprevedibilità. Ma l'uccisione chiude una fase di Putin lunga 25 anni. Si entra in una fase in stile sovietico totalitario. Siamo all'avvio esplicito. Difficile immaginare nel breve emergere figure col carisma di Navalny. Non significa che non possano riuscirci nel medio e lungo. Ce ne sono.
Coraggiose, ma senza il suo seguito. Vladimir Kara-Murza, per esempio, condannato a 25 anni di prigione. Quel che resterà di Navalny è il coraggio, il suo esempio. Aldilà delle idee, la battaglia di poter partecipare alle elezioni».
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