Rutte, il frugale anti-Italia costretto alle dimissioni

Scandalo sussidi, accuse di frode ingiuste per 20mila famiglie. Il premier lascia: "Distrutte vite innocenti"

Rutte, il frugale anti-Italia costretto alle dimissioni

L'Olanda è senza un governo, costretto dallo scandalo dei sussidi per l'infanzia a rimettere il mandato nelle mani del Re. Per anni, i bonus erano stati chiesti indietro dal fisco dei Paesi Bassi, con quasi 20mila famiglie impoverite per dei cavilli burocratici. Così da una bufera mediatica fin qui condita da piccoli mea culpa ieri è saltato il banco.

Dopo aver consultato gli altri partner di coalizione, il premier Mark Rutte si è dimesso: assumendosi la responsabilità istituzionale di uno Stato che ha «distrutto vite innocenti», parole sue. «Se l'intero sistema ha fallito, ci si deve assumere una responsabilità collettiva», ha chiarito in conferenza stampa, allargando lo spettro su tutti i partiti. La realtà è che Rutte ha agito con la spregiudicatezza che contraddistingue la sua azione politica: a due mesi esatti da elezioni già previste il 17 marzo (confermate nonostante il Covid-19) è certo di passare all'incasso delle urne senza troppi sforzi. In un colpo solo si è quindi sbarazzato di alleati che in buona parte neppure c'entravano con lo scandalo, riconducibile all'esecutivo guidato dallo stesso premier liberale, ma tra il 2012 e il 2017, con il Partito laburista Pvda. Pronto a vincere la posta in palio ai seggi, è ora solo lui, Mark Rutte, che continuerà a gestire pure gli affari correnti. La linea tenuta in Europa dal monolito-frugale ha giocato in suo favore: in patria, dopo un'estate passata ad attaccare l'Italia che di fronte al coronavirus avrebbe dovuto «farcela da sola», i sondaggisti gli attribuivano consensi doppi rispetto alla rielezione del 2017.

Per mesi, ha attizzato gli animi nel Paese dei tulipani attorno al suo indice, puntato verso Roma. E di fronte al caso che sconvolge oggi l'Olanda, il «frugale rigorista» si è messo in panchina soltanto provvisoriamente, certo di ottenere tre obiettivi dalla crisi politica: salvare la faccia davanti allo scandalo, liberarsi della larghissima coalizione (sempre più litigiosa) con cui aveva formato l'ultimo governo, e candidarsi a guidare nuovamente il Paese. Le ombre sul leader della «banda dei quattro» (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca), che in sede Ue ha sempre spinto su condizioni da porre in cambio del Recovery Fund, sono infatti state surclassate dal suo atteggiamento da mastino del rigore. A Bruxelles voleva bloccare il piano: «Solo prestiti», diceva, infischiandosene delle necessità dei Paesi più colpiti dalla pandemia. In patria è stato percepito come guida responsabile, capace di non sovraccaricare i conti. E tenere a bada la destra di Geert Wilders.

Chiedeva rigore agli altri, ma negli ultimi anni avrebbe vissuto in un attico all'Aja da quasi un milione e mezzo di euro. La stampa lo rivelò nel 2018, lui compensò l'accusa di starsene in 200 mq vantando spostamenti sulla sua vecchia Saab, abiti «in affitto» per le cerimonie e vacanze in «squallide pensioni». Intanto il fisco olandese chiedeva indietro sussidi a immigrati a cui invece spettavano, costringendo le famiglie beneficiarie dei bonus-figli a vendere beni per ripagare lo Stato. Insomma, un liberale d'élite tra papaveri e papere. Mascherato da giustiziere.

Ieri, l'ultimo bacio del traditore agli alleati cristiano-democratici (Cda), liberali di sinistra (D66) e Cu: «Le dimissioni? Decisione unanime del gabinetto, lo Stato di diritto deve proteggere i cittadini da un governo onnipotente»; le cose «sono andate male». Così da una decade governa rimbalzando sempre in piedi tra le pieghe della (sua) Storia.

«Per me solo un coinvolgimento indiretto (nelle false frodi, ndr), penso di poter continuare come leader del partito Vvd». Con oltre dieci anni di premierato alle spalle è il secondo leader europeo più longevo dopo Angela Merkel. Cui prodest?

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