Sánchez prepara l'indulto per i leader catalani. No della Corte Suprema

Il premier socialista spinge per la distensione Vox e Pp contrari. Il rischio di nuovi scontri

Sánchez prepara l'indulto per i leader catalani. No della Corte Suprema

Madrid. Passata, almeno per il momento, l'emergenza epidemiologica, il Governo del socialista Pedro Sánchez torna ad affrontare la vecchia questione catalana che ritorna all'ordine del giorno, riempiendo giornali e notiziari. La cuestión ha prodotto un indotto di nuove tematiche politiche e giuridiche, nate dal conflitto, anche violento, innescato dalla Catalogna che non vuole più appartenere al Regno di Spagna.

La Generalitat chiede a Madrid l'indulto per i dodici indipendentisti, politici e attivisti catalani, in carcere dal 2017 per avere provocato i disordini sociali seguiti al referendum illegale, osteggiato dall'allora premier Manuel Rajoy che dovette destituire l'esecutivo di Barcellona e commissariare la comunità che si era ribellata all'autorità di Madrid. I leader indipendentisti, dopo quasi due anni di processo, furono giudicati colpevoli di sedizione (turbamento dell'ordine pubblico) e malversazione di denaro pubblico ai fini di celebrare la consultazione che, la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale, essendo la Spagna, una monarchia parlamentare «una e indivisibile». I dodici ribelli catalani di cui nove ministri del Governo, tra cui il vicepresidente Oriol Junqueras, furono condannati a pene dagli otto ai tredici anni di galera, con l'interdizione di vent'anni da ogni incarico pubblico e senza la possibilità di scontare la condanna ai domiciliari. Junqueras, leader della Sinistra Repubblicana Catalana (Erc), alleato e vice dell'allora presidente della Catalogna Carles Puigdemont (fuggito in Belgio per evitare la condanna e quindi a rischio di rimanere fuori dall'indulto), dal 2017 sconta in galera i tredici anni della sentenza: l'Avvocatura di Stato ne aveva chiesti quindici e la Corte suprema gli aveva tolto il titolo di deputato. Qualora fosse stato condannato per «ribellione», Junqueras avrebbe preso venticinque anni. Una sentenza che, a molti, parve eccessiva e assunse un significato di monito nella Spagna scossa da forti spinte secessioniste.

Ora i Socialisti e Podemos stanno valutando la richiesta di grazia di Barcellona, anche per inviare un chiaro segno di distensione alla Catalogna, pronta a infiammarsi con una protesta che degenera in gravi disordini sociali come avvenne nel 2019. Sánchez ha intenzione di riallacciare il dialogo con la Generalitat, la comunità è la seconda per il Pil economico ed è un importante porto commerciale del Mediterraneo. Un dialogo che è richiesto anche dai partiti che formano il nuovo esecutivo catalano che si è appena insediato, guidato, per la prima volta dopo quasi un secolo, da un rappresentante di Erc, Pere Aragonès, il cui partito, a livello nazionale, è stato fondamentale per dare il via al Sánchez bis. All'idea di una grazia di Stato si oppongono il Partito Popolare (Pp) e Vox, propensi alla «mano dura» contro «i golpisti» catalani, come ha tuonato in Parlamento Pablo Casado, numero uno del Pp, sottolineando che sarebbe «un tradimento per tutti gli spagnoli».

Mercoledì scorso, Sánchez da Bruxelles ha detto che «la vendetta non è un valore costituzionale», riferendosi alla destra. Intanto, la Corte Suprema si è espressa con parere negativo sulla concessione dell'indulto, finendo accusata d'ingerenza politica.

Santiago Abascal, capo di Vox, ha detto che scenderà in piazza contro l'indulto. Il timore è che altre comunità con velleità secessioniste come i Paesi Baschi, l'Andalusia, l'Estremadura e le due Castiglie, seguano l'esempio della Catalogna, aprendo nuovi conflitti con Madrid.

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