«Senza il centro non si vince, è matematica e l'aveva capito anche Silvio Berlusconi. Nel mondo dei social si sentono solo quelli che urlano ma il Paese profondo è moderato. Il centrodestra vince perché ha Forza Italia. Siamo sicuri che quella gente non voterebbe a sinistra? Io non lo so, e la sinistra sbaglia se rinuncia a fare una proposta». Il sindaco di Milano Beppe Sala, intervistato dal direttore Alessandro Sallusti all'evento «La Grande Milano. Dimensione Smart city» promosso da Il Giornale, mostra di volersi fare spazio in quella parte del campo disorientata dopo l'implosione del terzo polo Renzi-Calenda. Il suo mandato scade tra la seconda metà del 2026 e metà 2027, giorni fa ha lanciato il sasso, in base alle norme vigenti il terzo mandato è escluso ma «se ci fosse la possibilità ci penserei». Sul palco ribadisce che «oggi tecnicamente non è possibile» e in pochi scommettono sulla reale voglia di un tris. «Penso ci sia ancora molto da fare e, se posso permettermi una provocazione, magari anche tanta parte del centrodestra potrebbe essere contento visto che ritiene che il mio consenso sia sceso. Sarebbe una sfida interessante per capire se è così o no». Sala sembra più interessato a mire nazionali che a scoprire se vincerebbe per la terza volta il derby sotto la Madonnina. Si continua «ad evocare una stagione dell'Ulivo ma è stata un unicum, è emersa una personalità come Prodi». In compenso, tornando a un modello Fi per la sinistra, chiuso il mandato da sindaco vorrebbe «continuare a fare politica portando un contributo alla mia parte politica, sapendo che le mie caratteristiche sono tali da interpretare un pensiero riformista, progressista, che tende a parlare con tutti e magari a colmare un po' di vuoto a sinistra nel dialogo con il nord e le imprese».
Lo sviluppo urbanistico della città è bloccato dalle inchieste della Procura su una decina di progetti e il Comune attende il decreto «salva Milano». «Purtroppo sta ancora vagando - commenta Sala -. Fino ad oggi non sono mai emersi interessi personali, le accuse riguardano la diversa interpretazione della legge statale che risale al 1942, modificata nel 1980, e regionale. Abbiamo dato autorizzazioni in maniera più rapida, attraverso la Scia invece di passare in giunta o in Consiglio. Secondo la Procura è sbagliato. Noi lo abbiamo fatto consapevolmente e mi dispiace e mi addolora avere oltre venti dirigenti e funzionari indagati per aver seguito il volere politico, non c'entrano niente. L'altra questione riguarda le ristrutturazioni: se c'è un fabbricato orizzontale dismesso e una società chiede il permesso di riprodurre gli stessi metri cubi in verticale, abbiamo sempre acconsentito, nelle regole, perché altrimenti il privato realizza una torre di 15 metri accanto e il vecchio obbrobrio rimane lì». Su questi temi «è importante che il governo chiarisca con una norma». Ma difende quello che è stato un «modo di fare alla milanese un po' più rapido».
La Uefa ha appena revocato la finale di Champions League 2027 a Milano perché il Comune non può garantire che l'area di San Siro sarà in cantiere. «Pragmaticamente non si poteva fare diversamente, ho interloquito io con la Uefa. Negherebbe il percorso che stiamo facendo con Milan e Inter sul nuovo stadio». Se andrà a buon fine, dopo sei anni di colpi di scena, non è in grado di prevedere. Sfumato il restyling del Meazza («prima delle ferie avrei detto che sarebbe decollato») sul tavolo è tornato il «San Siro bis» sui terreni adiacenti, del vecchio resisterebbero «le vestigia e dentro il museo, gli uffici dei club, un po' di verde, il centro commerciale» e «ne dobbiamo approfittare per mettere fondi sui caseggiati popolari della zona». Le squadre attendono di conoscere il prezzo di stadio e aree dall'Agenzia delle Entrate («non chiederò un euro in più») ma altrettanto chiaramente avverte: «Se al termine del percorso decideranno che l'area di San Siro non va bene, dirò mi arrendo, andate a costruire a San Donato o Rozzano, ma attenti perché il contratto di affitto scade il 30 giugno 2030. Non posso rimanere con il cerino in mano, dovrei provare a vendere ai promoter dei grandi concerti» che hanno già manifestato interesse. Sulla revoca della Champions il presidente del Senato Ignazio La Russa è stato tagliente: «Una figuraccia purtroppo ormai inevitabile vista l'inadeguatezza nostra giunta di sinistra». Sala ribatte: «Sono tutti diventati fenomeni. Mi risulta che La Russa abbia portato la sua proposta su due stadi vicini ai club e non abbia ottenuto nulla, abbia il coraggio di dirlo invece di speculare su una questione che riguarda la città». Con il premier Giorgia Meloni («ma pure con i governi precedenti») se l'è presa «un paio di volte, anche di persona» perché Milano «al di là degli slogan ha bisogno di sostegno», a partire dal trasporto locale, «i milanesi versano ogni anno 19 miliardi di tasse e tornano indietro 500 milioni, un quarantesimo».
Ma conferma lo scetticismo sull'autonomia: «Ha preso una piega che non va bene, 23 materie sono troppe e il governo deve dire quanto costa. Ho paura che per una bandiera politica si tolgano risorse a pensioni e detrazioni fiscali».
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