La salute ci costa 135 miliardi l'anno. Ma chi spende di più non sempre ha i servizi migliori

"Sarebbe miope perseguire questo obiettivo e concentrare tutta la discussione sull'aumento o meno delle risorse. Perché non basta necessariamente spendere di più se poi quelle risorse venissero utilizzate in modo inefficiente"

La salute ci costa 135 miliardi l'anno. Ma chi spende di più non sempre ha i servizi migliori
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«Sarebbe miope perseguire questo obiettivo e concentrare tutta la discussione sull'aumento o meno delle risorse. Perché non basta necessariamente spendere di più se poi quelle risorse venissero utilizzate in modo inefficiente». Così il premier Giorgia Meloni ha replicato martedì alle polemiche dell'opposizione sul lieve definanziamento della spesa sanitaria a legislazione vigente nella Nadef 2023. Si passa, infatti, dai 134,7 miliardi previsti quest'anno ai 132,9 miliardi attesi per il 2024. Si tratta di 1,8 miliardi in meno che possono essere sempre più che compensati da un intervento parlamentare nel corso della discussione della legge di Bilancio.

Ma il problema non è questo, cioè non è semplicemente quantitativo. Si tratta, infatti, di misurare la qualità e l'efficacia di questa spesa e constatare se i livelli delle prestazioni siano adeguati. Per farlo occorre sempre partire dai numeri e vedere se a questo tipo di spesa corrente per personale, beni e servizi corrisponda altrettanta efficienza. I dati da cui partire sono relativi al 2021, ultimo anno di vera emergenza pandemica ma caratterizzato da una sostanziale ripresa dell'assistenza sanitaria a livelli prossimi a quelli del 2019.

Incrociando i dati della Ragioneria generale dello Stato, della Banca dati della Pa e le elaborazioni dell'Osservatorio nazionale sulla Salute dell'Università Cattolica e del sito lavoce.info, si osserva che il Servizio sanitario nazionale due anni fa è costato 135,1 miliardi, la spesa sanitaria pubblica si è attestata a 127 miliardi ma a questa si è aggiunto un contributo dei cittadini per 27 miliardi.

Il disavanzo dei servizi sanitari regionali nel 2021 si è attestato a 1,1 miliardi di euro, trascinato dal rosso di Trento (-361 milioni), Sardegna (-237 milioni), Bolzano (-218 milioni), Toscana (-145 milioni) e Puglia (-132 milioni). La spesa sanitaria pro-capite è stata di 2.187 euro. Il tasso di crescita medio annuo nel periodo 2010-2021 è stato dell'1,5%, segno che con la crisi il contenimento della spesa sanitaria, giunta al 6% circa del Pil, è stato uno dei driver del risparmio insieme alla stretta sui requisiti di pensionamento.

La Lombardia ha una spesa sanitaria pro capite in linea con la media italiana (2.185 euro). Tutte le altre Regioni del Nord, Molise e Sardegna hanno una spesa pro-capite superiore. La Puglia, pur avendo una spesa pro-capite inferiore, raggiunge livelli essenziali di assistenza in linea con gli obiettivi anche in virtù del fatto che come Lombardia e Lazio le convenzioni con i privati assorbono oltre il 40% della spesa.

Ma ci sono altri numeri per vedere l'adeguatezza dei servizi offerti. Ad esempio, l'assistenza domiciliare integrata e le residenze sanitarie per anziani, fondamentali per non intasare gli ospedali. Tutto il Sud è sotto media. Della Calabria non si hanno dati sulle cure a domicilio. Il Sud tranne la Campania è sotto media anche negli indici delle ospedalizzazioni evitabili (148 su 1.000 in Italia). Questo significa che c'è poca possibilità di curarsi sia a casa che andando presso le strutture sanitarie pubbliche. Nel Settentrione (escluse Lombardia e Veneto), anche se l'assistenza domiciliare più o meno funziona, il tasso di ospedalizzazione evitabile è più elevato.

Questo si traduce in un consumo di farmaci più elevato nel Meridione rispetto al Centro Nord. Su una media nazionale di 1.133 dosi standard al giorno si toccano punte superiori alle 1.200 in Puglia, Basilicata e Calabria, mentre la Campania sfonda quota 1.300. Ne consegue una spesa farmaceutica lorda pro capite sopra i 163 euro medi nazionali in tutto il Sud.

La conseguenza è che al Sud si registra un «indice di fuga», cioè la tendenza a spostarsi per accedere alle prestazioni sanitarie ospedaliere, più elevato che nelle altre Regioni. In Molise e Basilicata è rispettivamente del 37,7%, e del 35,9%, mostrano un valore dell'indice di fuga oltre tre volte più alto del valore nazionale di mobilità (10%). Seguono Calabria (25,6%) e Abruzzo (21,1%).

Campania, Sicilia e Calabria, in base ai dati Istat 2022 relativi al 2018-2019, sono le Regioni con il maggior tasso di mortalità riconducibile ai servizi sanitari.

Insomma, quando il segretario del Pd, Elly Schlein, si infervora per il livello della spesa sanitaria dovrebbe ricordare anche questi dati perché spendere di più non equivarrebbe a spendere meglio.

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