Qualche settimane fa aveva minacciato le dimissioni alla segretaria nazionale del Pd Elly Schlein e invece il sindaco di Milano Beppe Sala ora chiarisce bene di non avere «intenzione di fare un passo indietro». Ma alza i toni e il pressing sul partito che dopo aver votato in scioltezza alla Camera il «Salva Milano», il ddl che dovrebbe «sanare» l'urbanistica milanese bloccata dalle inchieste giudiziarie, in Senato ha sollevato dubbi (dalla deregulation nei piccoli Comuni al rischio che in altre città scattino richieste di risarcimento degli operatori sugli oneri di urbanizzazione) e proposte di emendamento. Che riporterebbero il testo alla Camera, a quel punto con tempi ed esiti incerti. «Non mi dimetterei ma si aprirebbe un problema politico» avverte Sala ai microfoni di SkyTg24, perchè «se non appoggiassero la norma metterebbero in discussione il lavoro mio e del mio predecessore Giuliano Pisapia», visto che il ricorso a procedure più snelle (con la Scia) per far partire (anche) i progetti finiti nel mirino dei pm viene applicata dal Comune di Milano da 13 anni. E come ha sottolineato due giorni durante l'audizione in Senato, le procedure veloci «hanno permesso di rigenerare oltre 20mila metri quadrati della città». Ne fa un punto d'orgoglio. «Facendo si può sbagliare ma rivendico le scelte, per cui mi scoccerebbe se tutto passasse come un errore politico e amministrativo nella gestione della città». Spiega di aver «parlato a lungo con Schlein, sono confidente che tutto si ricomponga» ma chiarisce che ad oggi, anche dopo l'audizione a Palazzo Madama, «rassicurazioni sui tempi non ne abbiamo». Tra i dem si ondeggia tra silenzio e imbarazzo, non c'è la fila per esporsi su un tema così scivoloso. Da M5S e Verdi e Sinistra (che hanno bocciato già alla Camera) ci sono attacchi quotidiani anche a livello locale. In vista delle Comunali 2027 i dem si giocano una buona fetta dei voti green. Sala provoca. «Il Pd è quello della Camera o del Senato? É quello che esprime l'assessore all'Urbanistica, perchè quello precedente era del Pd», ossia Pierfrancesco Maran oggi al Parlamento Ue, «o che oggi critica il lavoro dell'assessore?». Attacchi e distinguo che rischiano di diventare quotidiani, ne ha già dato prova scontrandosi con Schlein sul terzo mandato per sindaci e governatori o sulla presidenza Anci. E per ora non chiama in causa altri complici silenziosi del sistema Milano che ora viene messo sotto processo dalla sinistra oltre che dai pm, assessori che sedevano in giunta e «non mai hanno alzato la mano per anni», come ha avuto modo di sottolineare in un'altra occasione. Come la senatrice Pd Cristina Tajani, oggi è nella schiera degli indecisi (nella sua prima giunta e in quella di Pisapia) o Pierfrancesco Majorino, capogruppo in Regione Lombardia e tra i nomi in pole per il dopo Sala.
Sala ribadisce la richiesta di «regole e tempi certi», anche per «evitare la fuga degli investitori fuori dall'Italia». Qui «non c'è nessun fatto corruttivo ma un tema di interpretazione delle norme di riferimento, è una vergogna che ci sia ancora una legge del 1942. Poi se i partiti vogliono ragionare sul fatto che Sala sia simpatico o meno..».
Al presidente FdI del Senato Ignazio La Russa che l'ha battezzato «Salva Sala» ribatte che «al limite mi salvo da solo». Ma da Milano ieri è scattata la minaccia dei meloniani: «Dice bene il sindaco, è un problema politico. Se i partiti della sua maggioranza, Pd, Italia Viva, Azione e Avs, non votano compatti in Senato, non lo farà FdI».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.