I sovranisti di casa nostra sembrano gemelli diversi. Salvini e Meloni in queste ore si tirano calci negli stinchi come da tempo non si vedeva. Forse è anche colpa dei sondaggi che premiano una e condannano l'altro. La leader di Fdi, secondo l'ultima analisi Swg per La7, è in continua ascesa e vola al 13,8%. Il Carroccio invece perde quota e in una settimana cala di 1,3 punti. I due bisticciano con effetti comici. Sulla piazza, per esempio. L'altra sera Salvini, furibondo per il pistolotto contiano sulla Fase 2, arringa i suoi su Facebook: «Vergogna - sibila - Siamo pronti alla piazza, in sicurezza, con le mascherine, ma adesso basta». Diluvio di like e cuoricini. La Meloni rosica. Gli risponde che è una fesseria dalle colonne della Stampa: «Finché dura il contagio andare in piazza significa mettere in pericolo chi partecipa alla protesta. E l'opposizione sarebbe accusata di alimentare l'epidemia». Ci dorme su e cambia idea. Anzi, anticipa proprio il cugino e in quattro e quattr'otto organizza una manifestazione davanti a palazzo Chigi. Bandiere, mascherine e cartelli, seppur a distanza di sicurezza. Specifica: «Non ho mai detto che Salvini sbaglia a scendere in piazza. Infatti siamo qui per dare voce, simbolicamente, agli innocenti che vorrebbero essere aiutati e che ancora non hanno risposte». Salvini rosica. Le risponde che è una fesseria via Facebook: «Non basta andare in piazza per mezz'ora con qualche cartello», la schiaffeggia metaforicamente. E quindi annuncia la sua prossima battaglia: «Il 1 maggio presenteremo un grande piano di ricostruzione nazionale. Porteremo alle Camere una proposta unitaria di tutti i governatori della Lega e del centrodestra e di tutti i sindaci della Lega. Porteremo in Parlamento la vostra voce, italiani. Faremo vedere chi siamo e cosa siamo. Servirà rimanere in Parlamento giorno e notte? Ci staremo giorno e notte a nome vostro. Serve un grande piano ma in Parlamento, non in tv». Bellissimo ed efficace anche se non si è capito con quali numeri visto che lui stesso ammette anche che «Con gli emendamenti non si va da nessuna parte, il governo ci ha ascoltato zero». In ogni caso le slide son già pronte: zero burocrazia, modello Genova, poteri speciali ai sindaci, stop al codice degli appalti.
Insomma, i leader di Lega e Fratelli d'Italia paiono sempre più separati, ognuno a casa propria per di più. A dividerli non è soltanto lo stile della lotta ma anche il merito. Si prenda il giudizio sul gran pasticcio di Bruxelles. Dieci giorni fa l'europarlamento ha votato un emendamento dei Verdi che prevedeva i coronabond. L'emendamento non è passato ma salviniani e meloniani si sono trovati su barricate opposte. Favorevoli i Fratelli d'Italia, contrari i leghisti. I quali hanno faticato un po' per motivare la propria ostilità alla condivisione del debito: «Sarebbe una totale cessione di sovranità alla Ue», hanno dichiarato.
E che dire di Draghi? Forse pressato da Giorgetti, sono ormai settimane che Salvini liscia il pelo all'ex capo della Bce: «Mi si permetta di ringraziare il presidente Draghi per le sue parole - lo salameccava ai primi di aprile -. È caduto il mito del non fare debito. Draghi dice che si può fare debito ma non per assistenza. Benvenuto presidente Draghi. Ci serve l'aiuto di tutti e anche il suo». E giù a fantasticare su un governissimo di SuperMario. Fumo negli occhi per la Meloni, però.
Che infatti nel giro di un secondo ha messo le mani avanti: «I governi non si fanno per alchimie. Preferisco il voto». Troppo fresco il ricordo dell'altro Mario (Monti ndr.): «...e sappiamo come andò a finire», ha alzato il ditino.
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