Il destino si fa beffe del Carroccio. Almeno, così pare a numerosi sostenitori della prim'ora, cui da ieri non è rimasto che sfogare rabbia e sconcerto via tweet. Proprio quando la Catalogna - certo, altra storia rispetto alla Padania - incredibilmente realizza il sogno visionario di Umberto Bossi, la Lega sceglie d'imboccare la «via nazionale». Una deriva «sovranista» e populista ricca di insidie (soprattutto economiche, oltre che politiche) per il ceto rappresentato dal partito di via Bellerio.
Ma il suo leader Matteo Salvini, dopo il frettoloso annuncio televisivo l'altra sera a Piazzapulita, conferma la rischiosa puntata. Addio «Nord»: il simbolo elettorale «dovrà essere uguale in tutta Italia, Lega punto». Salvini ora predica di «andare sul concreto: provare a far stare meglio la gente a Vicenza come a Lampedusa». Concetti che ieri, nel Consiglio Federale di via Bellerio, hanno animato la discussione con i governatori Maroni e Zaia. Presente anche il fondatore, Bossi. Ovviamente il più strenuo oppositore a una svolta che deve aver sentito come sfregio sulla pelle. Anche perché, come argomentato in varie interviste nelle scorse settimane, l'ex leader pensa sempre che «il nodo sia quello dei soldi, l'unica cosa che conta» e dunque la strada giusta è quella referendaria di Zaia e Maroni: stabilire «quante tasse restano nelle regioni dove vengono pagate». Di fronte al muro compatto dei tre, che rispecchia il pensiero «autonomista» dei tanti elettori referendari, Salvini ha tentato un compromesso partendo proprio dal meccanismo della nuova legge che, dice, impone di «presentarsi in tutti i collegi e in tutte le città d'Italia».
Esigenza elettorale e non proprio cambio di linea politica, dunque. Eppure svolta che va ben al di là dei timidi tentativi bossiani di federarsi con forze autonomiste del Sud (in particolare, nel 2006, il patto con Mpa del siciliano Lombardo). E, siccome nessuno è nato ieri, è palese il difetto di rappresentatività che potrebbe costare al segretario la poltrona che accarezza nei sogni, quella di Palazzo Chigi.
Nasce perciò da questa duplicità di fini (persino inconciliabili), una Lega «a due teste», una Lega «bipenne». Che lascia ai governatori l'onere e la difficoltà di una trattativa con il governo centrale e un'altra che punta direttamente a impersonarlo e guidalo, quel governo. Il leader vorrebbe votare appena licenziata la manovra, «anche a gennaio, sotto la neve» e s'appella al presidente Mattarella affinché eviti l'«accanimento terapeutico». Palazzo Chigi val bene un azzardo. «La Lega ha ambizioni di governo a livello nazionale e perciò avrà un unico simbolo a livello nazionale: su questo l'intero Consiglio federale è assolutamente concorde» è il risultato ottenuto ieri da chi sente l'obbligo di essere incoronato dall'intera Italia, e non soltanto dai soliti fedeli collegi del Nord.
«Vuoi la Sovranità per diventare sovrano d'Italia», sfotteva un cartello firmato da sedicenti «Brigate Moleste» sotto un fantoccio con il suo volto, spuntato ieri davanti alla sede leghista di Rho. Ma la voglia di ridere sta passando, là sul Carroccio all'amatriciana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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