Santori, la tangenziale per le api e il nucleare: c’è vita oltre l’ambientalismo chic

Anche al sardina mette all'indice la "nicchia dell'ambientalismo" che dice sempre "no". E ora Sala pensa a un partito verde

Santori, la tangenziale per le api e il nucleare: c’è vita oltre l’ambientalismo chic

Nessuno mette in dubbio che proteggere l’ambiente sia cosa buona e giusta. Nessuno più di chi ha condiviso esperienze di vita all’aperto nell’ambito dell’educazione scout sa che il rispetto della natura, in ogni sua declinazione, dovrebbe essere fondamento dell’agire di ognuno. “Ama le piante e gli animali”. Però occorre fare una distinzione tra la sana educazione ambientale, e il meritevole sforzo al “rispetto, alla cura e alla salvaguardia dei beni creati”, da quella che oggi potremmo chiamare la nuova “religione ambientalista”. Per capire la differenza tra il primo approccio e il secondo, possiamo partire da un nome e un cognome: Mattia Santori.

La sardina in chief, fondatore del movimento che sostiene di aver fermato Matteo Salvini in Emilia Romagna, che doveva star fuori dai partiti e infine s’è candidato col Pd, oltre ad essere attivista politico è stato anche redattore della rivista Energia, un trimestrale scientifico-divulgativo fondato da Alberto Clò, Sabino Cassese e Romano Prodi. Se da un lato lo trovi all’assemblea di Rinascimento Green a ragionare di “tangenziali per le farfalle”, “corridoi ecologici per le api”, “bicibus” per le scolaresche e “diritto alla riparazione”; dall’altra ultimamente ha mostrato di battersi per una politica energetica basata sui “conflitti ambientali”, tenendo cioè in considerazione il fatto che parlare di Transizione, green, rinnovabili, “no al nucleare!”, “basta auto!” fa figo, ma crea anche un sacco di problemi. Che per farla breve si diclinano in: crisi economica, deficit energetici, disoccupazione, inflazione, rovina del territorio paesaggistico, suicidio manifatturiero.

Pensiamo allo tsunami che ha investito il mondo, l’Europa e l’Italia in particolare, dopo la fine del lockdown da coronavirus. La rapida ripresa economica, con percentuali di Pil dopo il segno più come non se ne vedevano da secoli, ha fatto schizzare in alto le richieste energetiche. Poi la crisi geopolitica in Ucraina, le tensioni internazionali e il mercato hanno fatto il resto. Il gas è schizzato alle stelle. Il petrolio, e la benzina, non ne parliamo. E mentre le rinnovabili arrancano nel coprire una larga fetta del fabbisogno energetico nostrano, poveri cristi e imprese si trovano costi insostenibili che il governo deve ridurre dirottando risorse (e cioè tasse dei cittadini) sul caro bollette. Quale soluzioni per il pianeta? Prima ipotesi: estrarre ancora più idrocarburi. L’Italia ne avrebbe nel Mar Adriatico ma battaglie ambientaliste bloccarono qualche anno fa le trivelle col benestare di alcuni partiti oggi in Parlamento. Seconda ipotesi: fare come gli amici francesi e aumentare la produzione di energia tramite centrali nucleari, peccato che un paio di referendum abbiano fatto tramontare l’ipotesi qualche anno fa. Terzo: imitare Parigi e Berlino, ricorrendo selvaggiamente - almeno in circostanze d’emergenza - alle centrali a carbone, inquinanti ma anche efficienti. Quarto: incrementare l’importazione di gas dall’estero, differenziando sì i fornitori, ma magari superando anche le resistenze dei vari No Tap che si opporranno alle opere pubbliche (per la cronaca: dopo le barricate ambientaliste, il gasdotto in Puglia è arrivato e l’Italia non è ancora sprofondata sotto il mare né implosa su sé stessa). Quinto: gridare ai quattro venti che ci salveremo solo grazie alle rinnovabili, al vento, al sole e ai fiumi.

Nessuna di queste soluzioni, da sola, risolve insieme la persistente richiesta di energia nel mondo (chi di noi è disposto a vivere senza frigorifero?) né ovviamente la transizione verso un mondo dal minor impatto ambientale. Ma una cosa è certa: con l'ambientalismo radical chic, come ebbe a dire una volta Cingolani, non si cava un ragno dal buco. Serve pragmatismo, oltre che tangenziali per le farfalle. Cioè più il Santori studioso che quello sardina.

Il consigliere Pd, per dire, tra uno stadio del firsbee e l'altro, sostiene che il referendum del 1987 contro il nucleare fu un “errore esemplare”. Non che la sardina pensi che il nucleare “fosse giusto”, non sia mai, “ma perché decidere sulla politica nucleare a brevissima distanza del disastro di Chernobyl”, nel bel mezzo di un “clima ideologico e psicologico” particolare fu sbagliato: un errore di cui “tuttora stiamo pagando i prezzi”. L’addio a quella tecnologia, che mezza Europa utilizza a due passi dal confine italiano, ci rende nei fatti dipendenti da altri Paesi. Bene. Cioè male. Ma in futuro che fare? Si può scegliere la strada ideologica, bocciando senza se e senza ma tutto quello che contiene la parola “nucleare”, oppure - come fa Santori - impegnarsi almeno “per essere pronti” quando si affacceranno nuove tecnologie come la fusione nucleare. L’importante, però, è smetterla con una riflessione pubblica “influenzata da una nicchia dell’ambientalismo che ha esasperato un tema e impedisce, oggi, di prendere decisioni sensate”.

Eccolo, il punto: l’ambientalismo di nicchia. Quello che l’auto no, il nucleare no, la plastica no, però poi girano in aereo, usano il riscaldamento a casa, l’aria condizionata, i cellulari. Internet. Nei fatti una religione, che ha decine e decine di sacerdoti. Greta Thumberg ne è l'esempio lampante, ma ora il nuovo eroe potrebbe chiamarsi Beppe Sala. Il sindaco di Milano, secondo La Stampa, potrebbe fondare un nuovo partito ambientalista che va dagli ex grillini ad ex Leu, passando per una fetta di sinistra verde fuori e rossa dentro. Sala ha già aderito alla casa dei verdi europei e si è sempre mostrato amichevole con gli attivisti di Fridays for future.

Dicono voglia affrancare la battaglia green dall'ambientalismo "dei no", mettendo insieme ecologia, infrastrutture e crescita. Vedremo. Per ora il mondo verde italiano sembra più attento alle tangenziali delle farfalle che all'eco-realismo dimostrato, almeno una volta, da Santori.

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