"Sarò sempre in prima linea ma senza rifare il Nazareno"

Il Cavaliere a "Panorama": "Solo unito il centrodestra ha chance di vincere, con i distinguo si perde sempre"

"Sarò sempre in prima linea ma senza rifare il Nazareno"

Questa lunga chiacchierata non può che partire da Parigi, dalla stretta attualità con il risultato delle elezioni che hanno incoronato presidente della Repubblica Emmanuel Macron. (...) «Ma direttore, qual è la sorpresa Lo avevo detto». Poi spiega: «Avevo detto che il risultato di Marine Le Pen al primo turno avrebbe consegnato la Francia a Macron e che la leader del Front National sarebbe stata la miglior alleata della sinistra, pur rappresentando un consenso importante e dei sentimenti diffusi nella società francese. Per un motivo semplice: gli elettori moderati non l'avrebbero mai votata e infatti hanno regalato la vittoria a un candidato che non era il loro. È una vicenda che deve insegnare molte cose anche al centrodestra italiano».

E siamo a un suo cavallo di battaglia. Glielo dico in francese: il rassemblement dei moderati...

«E infatti a Salvini e alla Meloni ripeto quello che predico dal 1994: la storia, passata e recentissima, ci insegna che solo se è unito il centrodestra ha chance di vincere. Con i distinguo e le spaccature si perde. Sempre».

Il passato del centrodestra ha avuto tra i protagonisti Fini, Tremonti, Alfano. Il presente, oltre a Salvini e Meloni, ha le facce di Stefano Parisi e Giovanni Toti. Che differenze ci sono?

«Non mi chieda giudizi personali sul passato. Posso solo dire che lei ha nominato persone più attente ai loro interessi, ai loro disegni politici o ancor più semplicemente alla loro vanità, che a un progetto comune per l'Italia. Sul presente posso dire questo: Salvini è un goleador che ha cambiato le sorti della Lega. Giorgia Meloni ha determinazione e tenacia: può fare buone cose. Toti è un prezioso collaboratore con il quale non sempre sono d'accordo, ma per il quale ho profondo affetto. Parisi ha potenzialità intellettuali e politiche per il momento poco e mal utilizzate con la creazione di un ennesimo partitino del quale non colgo né la necessità né l'utilità». (...)

La sintesi di questa Europa unita è la moneta comune, cioè l'euro. È davvero arrivato il momento di prendere coraggio e pensare a metterla da parte con un referendum?

«L'euro è una moneta sbagliata, nata in un modo sbagliato e con un cambio assurdo rispetto alla nostra lira. Oggi un euro vale meno di quel che valevano 1.000 lire, altro che 1.936 lire. Ma esiste, e uscirne comporterebbe per noi un prezzo ancora più alto che restarvi dentro. È un tema complesso che non può essere risolto con un referendum, d'altronde tecnicamente impossibile in Italia. La mia idea resta la formula della doppia moneta». (...)

Torniamo in Francia. Da Parigi voglio portarla a meno di 500 chilometri a est, a Strasburgo. Qui ha sede la «Grande Chambre» della Corte europea dei diritti dell'Uomo che si pronuncerà sul suo ricorso contro la legge Severino che determinò la sua decadenza da senatore nel 2013. Come vive l'attesa di questo verdetto che può riconsegnarle la cosiddetta agibilità politica?

«Aspetto da troppo tempo la decisione di Strasburgo. Ragiono su quella decisione e non mi nascondo mai la verità: anche al di là dei suoi effetti concreti ha un significato immenso. In ballo non c'è solo il mio ritorno politico. Io, comunque vada, sarò in prima linea. Con o senza il nome sulla scheda. Sarò in prima linea con il mio volto, le mie parole, le mie idee a guidare la campagna di Forza Italia. La vera posta in gioco è la grande questione morale e politica. Rivendico, con tutte le mie forze, che mi venga restituita un'onorabilità infangata da una sentenza assurda. Sono stato e sono una persona perbene, un contribuente onesto, e ho il diritto di esigere che la mia onestà venga riconosciuta, se non dall'Italia, dall'Europa, dove siedono giudici che non prendono ordini da nessuno. Giungere alle elezioni senza che Strasburgo abbia fatto chiarezza sarebbe oggettivamente grave. Non solo per me, ma per la democrazia italiana».

Diranno che come tutti i politici anche lei è attaccato alla poltrona...

(Berlusconi fa una pausa mentre scuote la testa, accenna a un sorriso che somiglia più a una smorfia) «Per me la politica non è assolutamente la vita. Anzi è qualcosa che mi ha rovinato la vita per più di vent'anni. Ma anche adesso il mio senso di responsabilità verso il Paese che amo mi impone di restare in campo per non consentire a forze improvvisate e incapaci, pauperiste e giustizialiste, di vincere le elezioni e di conquistare il potere». (...)

Parliamo di politica pura, allora. Il Partito democratico ha celebrato le sue primarie e Renzi ha stravinto. Perché ritiene che non siano un metodo virtuoso anche per il centrodestra?

«Intanto, le primarie del Pd hanno consegnato un risultato largamente atteso che riproduce gli equilibri interni al partito soprattutto dopo la scissione della sinistra. Ma non comprendo, davvero, perché il centrodestra dovrebbe imitare questo metodo che appassiona sempre meno italiani. Un candidato premier si sceglie facendo la sintesi delle idee, dei valori e dei programmi del centrodestra e vedendo chi è meglio in grado di rappresentarli, di convincere gli italiani e di governare il Paese con determinazione, con efficienza, serietà e credibilità. Non attraverso una grossolana conta di chi ha la maggiore capacità di mobilitare militanti organizzati. In ogni caso, fino a quando la materia non fosse eventualmente imposta e regolata per legge, il problema per Forza Italia non si pone». (...)

È d'accordo con chi crede che Renzi voglia anticipare il voto in autunno per evitare di «subire» una manovra finanziaria che si annuncia devastante?

«Chiedere il voto per evitare la manovra economica è il tipico modo di comportarsi di una classe politica che pensa a sé stessa e non al Paese. È giusto andare al voto al più presto, ma lo scopo è quello di consentire agli italiani di decidere il loro futuro, non quello di evitare alla propria parte politica la responsabilità di misure impopolari. Dobbiamo invece mettere in condizione gli elettori di votare per scegliere da chi essere governati, senza condannare il Paese all'ingovernabilità per effetto di una legge elettorale contraddittoria».

Lei è un inguaribile ottimista: l'Italia che arranca, che cresce meno di tutti gli altri Paesi in Europa e che è alle prese con una drammatica crisi occupazionale, ha motivi per esserlo?

«Se dovessi raccontare il Paese con un aggettivo direi che vedo un'Italia affaticata. Se la politica non si rinnova continuamente e anzi si richiude in sé stessa e diventa un sistema di potere angusto, fatto di professionisti della politica che pensano prevalentemente alla propria autoconservazione, il Paese va a fondo. È questa la malattia, è questa la ragione dell'antipolitica, dello scoraggiamento diffuso».

Nessuna autocritica?

«Con me Grillo non c'era e certamente con me non sarebbe cresciuto così. (...) (Grillo, ndr) Si batte mettendo in campo una proposta politica di qualità, affidata a persone credibili. Si batte inchiodando Grillo alle sue contraddizioni, ai suoi esasperati tatticismi. Come chiunque non abbia un'idea propria davvero radicata, lui può sposare con disinvoltura le posizioni più contraddittorie». (...)

Esclude allora una nuova versione del patto del Nazareno, magari con l'unico obiettivo di varare una legge elettorale anti Grillo?

«Mi faccia fare una premessa: il patto del Nazareno era un accordo sulla legge elettorale e sulla riforma della Costituzione, non un progetto politico. No, non vedo le condizioni perché si possa riproporre oggi. Non esiste un accordo con il Pd in funzione difensiva contro il partito di Grillo. Noi puntiamo a vincere con le nostre idee e i nostri progetti.

Se i partiti si illudessero di chiudere la strada a Grillo con accordi di potere, avrebbero sbagliato totalmente strada. Paradossalmente sarebbe il miglior regalo a Grillo, la dimostrazione che le sue fantasiose e talora farneticanti teorie hanno un minimo di fondamento».

di Giorgio Mulè,
direttore di Panorama

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