La scelta ipocrita di Tsipras: l'isola "ripulita" dai profughi

Migliaia di rifugiati spediti nel centro di raccolta sull'isola .Tolti perfino i tragici giubbotti rossi accatastati su una spiaggia

La scelta ipocrita di Tsipras: l'isola "ripulita" dai profughi

Atene - «I nostri problemi? Ne riparliamo da domani. Oggi siamo felici perché tutto il mondo ha visto cosa ci sta accadendo». È il commento che tra i greci va per la maggiore dopo la storica visita di Papa Francesco nell'isola di Lesbo. Così come per la crisi economica, quella dei migranti può essere affrontata solo «accendendo un po' di luce sulle nostre isole» borbotta Iannis, 67enne insegnante in pensione. Sua figlia gestisce un bed and breakfast a Chio e, anche se teme per alcune prenotazioni cancellate, oggi sceglie la via dell'ottimismo. «Non solo i trecento giornalisti presenti lì ­ aggiunge ­ ma soprattutto il fatto che mentre l'Ue ci abbandona dopo quell'accordo con la Turchia, qualcun'altro invece ha un pensiero anche per noi che facciamo accoglienza».

E già, l'accoglienza. In Grecia ci sono ancora 53mila migranti su cui, tra le altre cose, pende anche la spada di Damocle del caldo torrido a 32 gradi che non è amico di chi deve passare la giornata in una tenda. Facile prevedere, come dice Iannis, che aumentino i casi di tubercolosi o di scabbia, o che la convivenza di diverse etnie, che parlano settanta dialetti diversi, possa trasformarsi in altra violenza, così come accaduto al Pireo che, assieme a Idomeni e proprio a Lesbo, resta il fronte più caldo. Per la visita del Papa sull'atollo che diede i natali alla poetessa Saffo i profughi sono stati fatti sparire, come la polvere nascosta sotto il tappeto, hanno attaccato ieri i conservatori all'opposizione di Tsipras. Nessuno per le strade e tutti nell'hotspot di Moria, fatto costruire nonostante le proteste degli albergatori che vedono crollare le prenotazioni. I giubbotti di salvataggio rossi, che invadevano la spiaggia meridionale, sono stati spostati in una valle lontana da occhi indiscreti. Da domani però, tanto a Lesbo quando negli altri 34 hotspot, si torna alla realtà. Da Bruxelles ancora non arrivano le 4000 figure professionali tra esperti di diritto internazionali e mediatori, richieste per gestire il pasticcio dei richiedenti asilo. L'altra faccia della visita del Papa sta nella quotidianità di questa emergenza che il trattato di Dublino scarica sui paesi di primo approdo. Come la storia che arriva dai cantieri Scaramangàs, alla periferia del Pireo, un tempo il fiore all'occhiello della cantieristica ellenica che davano lavoro a migliaia di greci e che oggi, dopo un lustro di crisi, trovano nuova veste in un mega hotspot da 4000 posti. O come quella che viene dalle Termopili, dove Leonida affrontò un milione di Persiani, e dove oggi affacciato sulle terme che meriterebbero una spa con fiotte di turisti, l'albergo in disuso fatto costruire dai Colonnelli è stato rimesso in piedi per ospitare 300 siriani che lì però non vogliono rimanere. Infine ad Atene, base logistica di una cellula dell'Isis per il riciclo di passaporti falsi, tutto servirebbe fuorché altri siriani come quelli che Erdogan in base all'accordo spedirà in Grecia.

«Chi ci mette la mano sul fuoco che non siano infiltrati?» si chiede Grigoris, che con sua moglie gestisce un'edicola, mentre si fascia già la testa per il probabile aumento dell'Iva al 24% perché i conti con la troika ad Atene ancora non tornano. Ma ci penserà da domani. Ai greci, oggi, interessa solo il Papa.

twitter@FDepalo

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