Per l'Unione europea, è un «rivale sistemico». Un partner, ma soprattutto un concorrente. Ieri pomeriggio, a Parigi, Xi Jinping è stato però accolto come un amico di vecchia data. Tappeto rosso all'aeroporto, la presenza del premier francese Gabriel Attal; strette di mano e grandi sorrisi in attesa che la sua prima missione nel Vecchio Continente dal 2019 (prima cioè che il Covid mettesse a dura prova l'Europa e che due conflitti ne sconvolgessero le certezze di sicurezza) entri nel vivo, parlando di controversie commerciali e soprattutto della guerra in Ucraina.
La Cina non ha mai condannato l'invasione Russa e ha sempre mantenuto rapporti stretti con Kiev. Da Pechino, l'anno scorso emerse pure un piano di pace, bocciato dagli Usa. Ma oggi? È possibile? Gli sherpa tengono un appunto sempre a portata di mano, le parole pronunciate da Putin a ottobre, quando definì «realistico» quel piano, spiegando che avrebbe potuto costituire la base per «colloqui di pace».
Sarà Macron a riprovare a scandagliare le intenzioni cinesi dopo il nulla di fatto di Olaf Scholz. Il cancelliere tedesco è stato infatti a Pechino nei giorni scorsi, e nonostante l'insussistenza del suo colloquio con Xi, il presidente francese si è consultato proprio con Scholz invitandolo a una cena «clandestina» la scorsa settimana per dare almeno un minino segnale di unità europea di fronte al Dragone in missione (in una Francia dove 7 parlamentari denunciano cyberattacchi da hacker cinesi e puntano un faro imbarazzante sul rischio ingerenze e destabilizzazione da parte di Pechino).
Macron e Xi saranno faccia a faccia dopo la cerimonia di benvenuto in pompa magna agli Invalides, prima del banchetto all'Eliseo. Quello il contesto odierno per intavolare una prima discussione sulla spinosa questione del sostegno di Pechino alla guerra di Mosca: sottotraccia, mai esplicito. Ma innegabile per ciò che riguarda componenti senza i quali lo Zar non avrebbe tutta la forza di fuoco di cui continua a disporre nonostante le sanzioni occidentali. Business is business. Finora è stato così, per Pechino. Xi si è però affrettato a far sapere al Figaro che intende «lavorare con la Francia e l'intera comunità internazionale per trovare buone strade per risolvere la crisi», precisando che la Cina non ne è all'origine, né parte. E Macron è pronto a chiedergli di sostenere una «tregua olimpica» per «tutti» i conflitti durante i Giochi, dal 26 luglio a Parigi, oltre alla già confermata presenza cinese alla Conferenza di pace in Svizzera a giugno.
Macron, all'Economist, ha posto di nuovo il tema del possibile invio di truppe francesi, se la situazione dovesse peggiorare per gli uomini di Zelensky. Ciononostante, stavolta parte avvantaggiato nel dialogo. Perché le relazioni franco-cinesi sono salde: sessantennali. E soprassedendo sul beau geste di donare animali a scopi diplomatici (il primo panda gigante regalato alla Francia risale al 1973), la «stabilità» del mondo e la «prosperità» restano priorità cinesi, proclama il Quotidiano del Popolo. Dunque: Parigi val bene una tappa (poi volerà in Serbia e Ungheria prima di rientrare a Pechino e ospitare Putin). Xi è pronto ad adulare l'interlocutore, sottolineando «il rapporto speciale» dal riconoscimento della Repubblica popolare da parte di De Gaulle; a lodare l'autonomia strategica di Parigi (e dell'Ue) rispetto agli Stati Uniti. Non può però promettere un riequilibrio della bilancia commerciale, come chiederà, insieme a Macron, Ursula Von der Leyen, invitata a partecipare alle discussioni sulla concorrenza sleale di Pechino. Le indagini Ue sui sussidi statali a diversi settori industriali, in particolare a veicoli elettrici e pannelli fotovoltaici, ipotizzano distorsioni del mercato.
Manovre figlie anche di un mondo mutato, da quando Xi lanciò la Nuova Via della Seta. Sembrava il futuro, si è rivelata più pericolosa che vantaggiosa per l'occidente, tanto che l'Italia ne è uscita e Parigi non ha mai neppure aderito.
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