Il naufragio dello yacht di Palermo avrebbe meritato solo silenzio e rispetto. I dispersi e il cadavere, l'unico finora individuato dalle squadre di ricerca, dovrebbero suggerire empatia. Invece sulla tragedia è piombato il commento delirante della Ong tedesca Sea-Watch, che dal suo profilo social italiano è intervenuta sulla vicenda con un post inimmaginabile, facendo sarcasmo sul naufragio, utilizzando la tragedia per l'Italia alla berlina accusa lil governo di «doppiopesismo».
L'incidente causato dalla tromba d'aria davanti alle coste di Palermo ha coinvolto un totale di 22 persone che si trovavano in quel momento a bordo. Non era nemmeno l'alba e tutti sono stati colti di sorpresa. Tuttavia, in 15 sono riusciti a uscire indenni, o quasi, dallo yacht e a venir recuperati da un'altra barca a vela che si trovava nelle immediate vicinanze. Tutti sono stati trasportati con un tender nel vicino porto di Porticello. Un'operazione ovvia, che però per le Ong è motivo di polemica e di sfregio per la tragedia. «Speriamo che le 15 persone soccorse stiano bene e che non debbano essere portate a Ravenna, a Trieste o a La Spezia, a centinaia di miglia e a giorni di navigazione di distanza dal luogo del naufragio», hanno scritto i tedeschi nel loro messaggio. Il riferimento del loro messaggio è abbastanza chiaro: l'assegnazione dei porti alle navi delle Ong, che non sono quelli di loro gradimento. Le organizzazioni che operano nel Mediterraneo vorrebbero sempre sbarcare a Lampedusa, al massimo in Sicilia. Dicono che sia per evitare ai migranti lo «stress» di altri giorni di viaggio ma la verità, come emerge anche dalle loro comunicazioni all'esterno, è che non vogliono consumare carburante. Ecco, quindi, che nasce la provocazione sulla tragedia di Palermo, equiparando il naufragio dello yacht a quello delle carrette del mare che vengono raccolte al largo delle coste libiche.
Uno schiaffo alle vittime, ai loro familiari e ai superstiti della tragedia, che non ha alcun punto in comune con quelle del Mediterrano centrale, se non essere accaduta in mare. Lo yacht è stato spazzato via dalla tromba d'aria davanti al porto di Porticello, a una manciata di metri dalla costa. Qualunque imbarcazione abbia una situazione di distress, più o meno grave, che abbia bisogno di essere tratta in porto, viene sempre portata nel punto più vicino. Anche quelle dei migranti. E lo sanno benissimo le Ong che intervengono nei pressi di Lampedusa, nel canale che separa l'Italia dalla Tunisia. Poi, c'è un altro elemento di non poco conto. La scelta di indicare porti diversi da quelli graditi alle Ong è fatta sulla base di numerosi fattori tra i quali quello della sicurezza nazionale. I 15 superstiti del naufragio di Palermo sono soggetti di generalità nota, provvisti di documenti e in alcun modo legati al traffico di esseri umani o accusabili di ingresso illegale nel Paese. Dei migranti che sbarcano in Italia non si può dire lo stesso e, inoltre, sono tutti soggetti che richiedono assistenza, da distribuire nelle strutture ricettive del Paese.
Sono due prospettive molto diverse tranne per chi ci vuol mettere malizia. Ma d'altronde non stupisce, perché lo schiaffo della Sea-Watch alle vittime e ai superstiti non è il primo. Un anno fa le Ong hanno intentato la medesima polemica sul naufragio del sottomarino Titan, accusando l'Occidente di spendersi per le sue vittime al contrario di quanto fanno per i migranti.
E non mancano nemmeno le persone pronte a supportare la Ong in questa intemerata, accusando l'Italia di aver speso risorse per il salvataggio solo perché erano «ricconi inglesi su uno yacht». E ancora: «Certo, questi (gli occupanti dello yacht) non erano gli ultimi della Terra ma naufraghi in smoking».
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