La scissione più lunga della storia finisce in un albergo nel centro di Roma, il Sina Bernini Bristol. È lì, in un contesto così lontano dai meetup pionieristici, tra marmi e lampadari, che Luigi Di Maio sceglie di mettere la parola fine alla sua storia all'interno del M5s. E forse, suggeriscono i maligni, anche alla parabola stessa del partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Perché il Movimento ne ha passate tante, ma mai si era avuta un'impressione così netta che nulla sarà più come prima.
La nemesi dei grillini si chiamerà Insieme per il Futuro, come una lista civica qualsiasi alle elezioni comunali di una cittadina qualunque. Così ha deciso Di Maio, che in effetti ha mosso i primi passi politici riprendendo le sedute del Consiglio comunale di Pomigliano con una vecchia webcam. Allora era uno studente fuoricorso dell'Università Federico II di Napoli, adesso si prepara a interpretare il ruolo di scialuppa di salvataggio di Mario Draghi. Perché oggi il blitz di Giuseppe Conte è fallito, ma secondo i dimaiani l'avvocato è pronto a sfruttare altre occasioni per ritirare i ministri e valutare l'appoggio esterno all'esecutivo. Ora Di Maio sale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (per un incontro programmato da tempo) e poi a Piazza Barberini attacca sulla politica estera: «Non possiamo permetterci ambiguità se decidere se stare dalla parte della democrazia o di chi ricatta con il gas». Ostenta soddisfazione per «il voto chiaro e netto della risoluzione in Senato». Presenta la scissione come un fatto legato alla guerra in Ucraina: «Dovevamo scegliere da che parte stare della storia», dice tra gli applausi. «Pensare di picconare il governo e un Paese intero per recuperare il calo dei consensi è da irresponsabili», attacca mentre la sala del Bernini si riempie sempre di più e la scissione sembra un fiume che può travolgere Conte. Di Maio mette in guardia da «ambiguità e alle turbolenze». Poi l'ex capo politico denuncia «l'escalation verbale contro di noi». Non nomina Conte e ci va giù duro: «Il M5s ha intrapreso un percorso di chiusura, si è ancorato a vecchi modelli che oggi sono superati».
Di Maio ringrazia il M5s, parla di «una scelta sofferta» e infilza: «Lasciamo quella che da domani non sarà più la prima forza politica del Parlamento». Sottolinea che «uno non vale l'altro» e ribadisce: «Ho giurato fedeltà allo Stato non a una forza politica». E ancora la politica estera: «Quando si riceve endorsement dagli aggressori della Russia non si risponde con il silenzio». Riscuote l'applauso più forte quando dice: «Non saremo più la forza dell'odio». In serata dal Quirinale, in riferimento all'incontro con Di Maio, parlano di incontro già programmato da cinque giorni, allontanando le voci di una benedizione da parte del Colle.
Sono 63 gli aderenti a Insieme per il futuro: 52 alla Camera, compreso lo stesso Di Maio, e 11 al Senato. In ogni caso, a Montecitorio ci sarà un gruppo autonomo, mentre a Palazzo Madama gli uomini del ministro degli Esteri aderiranno tutti al Gruppo Misto. Nella pattuglia della Camera ci sono i fedelissimi Sergio Battelli, Luigi Iovino, la viceministra Laura Castelli, il braccio destro alla Farnesina Manlio Di Stefano, l'ex capogruppo Francesco D'Uva, Carla Ruocco, l'ex ministro Vincenzo Spadafora.
Al Senato sono dati per certi l'ex giornalista Primo Di Nicola, Vincenzo Presutto, Simona Nocerino, il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri.
Di Maio pesca a piene mani tra i siciliani e soprattutto tra i campani, ma anche tra gli eletti che sono già arrivati al secondo mandato. Infatti dal fronte contiano le malelingue sussurrano che la paura di perdere la poltrona è l'unico motivo di questa scissione, altro che nobili motivazioni di politica estera. In serata il portavoce di Conte Rocco Casalino parla di «aggressione contro di noi che sarà un boomerang». Ma la realtà è che i numeri dei dimaiani potrebbero crescere. E anche la giornata è un crescendo rossiniano. Dalle mezze parole e dai volti tirati della mattinata ai sorrisi del pomeriggio. Tra chi sembra soddisfatto c'è Spadafora che, all'ingresso della buvette di Montecitorio, è sornione e scravattato: «Tra stasera e domani ufficializziamo la rottura, era inevitabile, ormai le posizioni sono troppo lontane, così faremo riposare anche voi giornalisti». Nello studio di D'Uva i dimaiani raccolgono le firme degli scissionisti per tutto il pomeriggio.
Chi parla in mattinata è Beppe Grillo. Che spinge Di Maio fuori dalla porta senza tanti complimenti. «Chi non crede alle regole del gioco lo dica senza espedienti», scrive sul suo Blog.
Si fa vivo Alessandro Di Battista per dire che «governare per le poltrone è un ignobile tradimento» e che comunque non «gliene frega nulla» della scissione. Ma la scissione è un tornado e del doman di Conte non c'è certezza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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