Vincenzo Spadafora, la mente della scissione dimaiana, con disarmante realismo ammette: «Abbiamo fatto un'operazione di Palazzo». Ma subito si affretta a precisare: «La nostra prospettiva rimane però la costruzione di un progetto politico». Un partito? La trasformazione del gruppo parlamentare «Insieme per il futuro» in soggetto politico pone almeno due ostacoli, al momento insormontabili: voti e soldi.
Nelle più rosee aspettative il partito Di Maio non scavallerebbe la soglia del 2% nazionale. Tradotto: tutti a casa dalla prossima legislatura. Brividi. Ricreazione finita. Secondo problema: i fondi. Per strutturare il movimento sul territorio e organizzare la campagna elettorale servono i finanziatori. Spadafora e Di Maio hanno ottime relazioni. Ma non sono sufficienti a garantire una solidità economica al «partito». L'ipotesi di un soggetto politico autonomo è, dunque, già archiviata. Arrivata al capolinea prima di iniziare la corsa.
La prospettiva è un'altra: Di Maio vuole contribuire alla nascita di un polo centrista, che raccolga tutta l'area draghiana. Con chi? Le interlocuzioni sono in corso con tutti. In primis con il sindaco di Milano Beppe Sala. E qui va fatto un inciso. Sala nelle ultime settimane ha incontrato e avuto colloqui con tutti i leader politici del nascente polo centrista. In successione, il sindaco di Milano si è confrontato con Di Maio, Calenda, Renzi, Toti, Gelmini, Brugnaro. Ha posto una condizione: non lascerà la guida del Comune di Milano. È disponibile ad accettare la paternità del futuro polo centrista con un ruolo di padre nobile. Nulla di più. Non si dimetterà per guidare il Grande centro. Sala c'è. Ma senza mollare la poltrona di sindaco. Chi si è già sfilato è il ministro Mara Carfagna. Fonti vicine al ministro azzurro spiegano al Giornale: «Non siamo interessati al progetto centrista con Sala. Siamo e restiamo in Fi».
Incassata la disponibilità di Sala, che avrà ruolo simile a quello che ebbe Mario Monti nel 2013, si deve costruire il contenitore. Di Maio e Spadafora lavorano al contenitore. Gli interlocutori privilegiati in questa fase sono tre: i sindaci di Venezia, Firenze e Parma. Con Brugnaro, Nardella e Pizzarotti si cerca di gettare le basi al terzo polo. «Ci sono dialoghi in corso con colleghi sindaci, in quell'area c'è grande movimento, ma è ancora tutto prematuro. Io domenica finisco il mandato e sono impegnato a far vincere Michele Guerra. Dopodiché vedremo. La voglia di buttarsi in qualche nuovo progetto, non solo politico, c'è. Non escludo nulla». Così conferma all'Adnkronos Federico Pizzarotti.
La novità arriva dal Sud. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca guarda con interesse al progetto Di Maio: «Il ministro degli Esteri può essere un interlocutore per avviare la costituente per una grande unica forza politica riformatrice nel nostro Paese. Questo dovrebbe essere l'obiettivo» annuncia a sorpresa lo sceriffo salernitano. La trattativa è a buon punto con un altro governatore: il presidente della Liguria Giovanni Toti. Tra dimaiani e totiani ci fu già un primo approccio in occasione del voto per il Quirinale. Un parlamentare di Coraggio Italia rivela al Giornale: «In occasione dell'elezione per il Presidente della Repubblica i voti a Mattarella nei primi scrutini arrivarono dalla pattuglia grillina vicina a Maio e dai parlamentari di Coraggio Italia».
Le elezioni regionali in Sicilia saranno il primo test per il laboratorio centrista. In Sicilia Di Maio potrebbe riprendere i contatti con l'ex grillino Dino Giarrusso. Con Renzi il discorso è più complicato. Lo stesso Spadafora, le cui doti di mediatore sono riconosciute, ammette: «L'interlocuzione con Renzi non è semplice». Il tentativo c'è. Il leader di Iv frena: «Terzo polo con Di Maio è dibattito surreale». Tattica.
L'altro nodo da sciogliere è lo schema. E qui anche tra i dimaiani si scontrano due visioni.
C'è chi guarda alla corsa solitaria sotto il cappello del terzo polo, per spianare dopo le elezioni la strada al Draghi bis. E chi azzarda: intesa Pd-terzo polo per isolare Conte. È un'ipotesi da non sottovalutare. A cui sta lavorando in silenzio Matteo Renzi. E da cui Di Maio potrebbe trarre un vantaggio.
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