Nonostante arrivi dopo un'ora e sette minuti di intervento con uno splendido sfondo vista spiaggia, nella tensostruttura sul lungomare di Pescara che ospita la kermesse di Fdi non si respira alcuna suspense per un annuncio che tutti danno per scontato da settimane. Giorgia Meloni sarà in campo alle Europee dell'8 e 9 giugno, capolista in tutte e cinque le circoscrizioni. Un dato acquisito da tempo.
Meno, la scelta di personalizzare come mai prima la campagna elettorale, in vista di un voto che - la premier lo dice chiaramente - sarà un giudizio su quanto fatto in questi diciotto mesi a Palazzo Chigi. Un referendum pro o contro, per testare il gradimento del Paese («voglio chiedere agli italiani se sono soddisfatti del lavoro che stiamo facendo») e per darle un mandato che le permetta di sedersi al tavolo dei nuovi equilibri europei che usciranno dalle urne con la forza di un consenso che non è solo del suo partito ma personale. «Un modo per dare più autorevolezza alla posizione italiana a Bruxelles», spiega il presidente del Senato Ignazio La Russa. Con una trovata pop e certamente suggestiva dal punto di vista comunicativo: «Se ancora credete in me, fatelo scrivendo sulla scheda semplicemente Giorgia», dice la premier. Perché «il Palazzo non mi isolerà e il potere non mi imbriglierà». Anzi, alza i decibel Meloni, «sono e sarò sempre fiera di essere una persona del popolo», una a cui «dare del tu senza formalismi».
Insomma, di governo ma di lotta. Nel Palazzo ma in piazza. È il passaggio che più piace alle migliaia di militanti assiepati fino ai maxischermi davanti alla Nave di Cascella, la fontana simbolo di Pescara. E, assicura il ministro Francesco Lollobrigida, non c'è alcun problema tecnico né rischio che il voto sia annullato, perché basta scrivere sulle liste elettorali «Giorgia Meloni detta Giorgia». Qualcuno dentro Fdi avanza dubbi, ma è un fatto che Lollobrigida sia considerato a via della Scrofa uno dei maggiori esperti di tecnicismi elettorali.
Fratelli d'Italia, dunque, si affida a quella che La Russa chiama «la bacchetta magica di Giorgia». E Meloni fa all in, giocando la partita in prima persona e nella convinzione che un successo blinderà il governo fino a fine legislatura. Perché, è la convinzione della premier, è questo che accadrebbe se - dopo diciotto mesi a Palazzo Chigi - Fdi confermasse o migliorasse il 26% delle Politiche del 2022. A prescindere da eventuali contraccolpi legati a un crollo della Lega che, non a caso, poco interessano Meloni.
Ma nel suo intervento la premier conferma anche l'approccio a due velocità delle ultime settimane. Da una parte accelera sulla personalizzazione della corsa al voto e sul puntare gli avversari di una campagna elettorale ormai ufficialmente iniziata. Cita Elly Schlein, indirettamente Giuseppe Conte e il suo superbonus che è stato «la più grande patrimoniale al contrario mai fatta in Italia», poi i «burocrati chiusi nel Palazzo di vetro» a Bruxelles, la sinistra tutta, l'utero in affitto e le «lezioni di chi chiude le aule per il Ramadan» (parole che qualcuno legge in antitesi a un Sergio Mattarella che solo un'ora prima La Russa aveva salutato e ringraziato senza scaldare la platea). Dall'altro sceglie invece un approccio non frontalmente ostile su questioni notoriamente delicate. Manda un messaggio ad Emmanuel Macron, principale sponsor di Mario Draghi alla presidenza della Commissione Ue (o del Consiglio). Quello dei futuri vertici Ue prima del voto, si limita a dire, è «un dibattito surreale». E pure su Salvini si muove con il freno a mano, evitando accuratamente di infilarsi nello spinoso dibattito sulla candidatura del generale Roberto Vannacci. Si limita a una battuta sulla sua assenza. «Grazie a Matteo che ci ha preferito il Ponte», dice. Sembra un affondo polemico, ma è l'ultimo atto del FantaCongresso inaugurato dal gruppo Camera di Fdi sulle orme dell'ormai noto FantaSanremo. Una burla in base alla quale in questi giorni i relatori sul palco hanno preso punti pronunciando alcune frasi fuori contesto («benvenuti al Giorgia beach party» ne valeva 50). In mattinata a Meloni viene detto che se avesse detto «Salvini ci ha preferito il Ponte» sarebbe stata lei la vincitrice. La premier non si è sottratta e poi ha dovuto spiegare il tutto via telefono al leghista. Con il quale la vera distanza l'ha segnata su ben altro, ribadendo che Fdi in Europa non andrà «mai con la sinistra». Di fatto una risposta ai dubbi ventilati a più riprese dal leader della Lega. E su cui Meloni un po' gioca sull'equivoco.
È chiaro che al Parlamento Ue i Conservatori di Ecr non andranno mai con i Socialisti, mentre è altamente probabile che Fdi ma non potrebbe essere altrimenti per un partito che esprime il premier, a meno che gli attuali sondaggi non siano clamorosamente smentiti debba votare con S&D quando ci sarà da decidere il futuro presidente della Commissione Ue.
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