Leggendo i quotidiani, seguendo i telegiornali e gli «approfondimenti» vari, traspare un certo fastidio per l'intemerata di Giulia Latorre, la figliola di Massimiliano, il marò tuttora in cattività col commilitone Salvatore Girone e colpito ieri l'altro da ictus. Che poi a ben vedere riflette il fastidio, non vorrei dire il rigetto, per tutto ciò che attiene alla vicenda dei due fucilieri di marina. Verso i quali è per altro mancato da subito quel sentimento unanime di partecipazione e solidarietà che la società civile e politica raramente nega in simili circostanze.
Forse ed anzi probabilmente perché Girone e Latorre non vestono casual, ma la divisa. Con le stellette. Così che nei loro confronti è trasudato quel sentimento, tenuto sopito negli ultimi tempi dopo gli eccessi quarantennali, di astio e disprezzo nei confronti di tutto ciò che è assimilabile al patriottismo, identificato, per meglio ideologicamente combatterlo, col nazionalismo: tricolore e divise. Fossero quelle dell'esercito, dei carabinieri o della polizia. Sentimento che ritrovò linfa col fragoroso e farneticante irrompere del pacifismo di massa, sbornia che addirittura portò a mutare il nome della guerra in «missione umanitaria» o, per colmo di ironia, di « peacekeeping ».
La colpa di Girone e Latorre è dunque questa, essere militari. Addebito nemmeno attenuato dalla partecipazione a un mandato sotto l'egida della pacifistissima Onu. Militari e dunque per niente politicamente corretti, magari in odore di nazionalismo pseudofascista, comunque dal grilletto facile, come tutte le canaglie di destra.
Giulia Latorre, alla quale non può essere sfuggita la ragione della tiepida e manierata reazione al malore del padre, ha usato, nel suo j'accuse, un linguaggio molto duro e sprezzante. Non poteva far meglio, sapendo a chi si rivolgeva. Sappia che noi siamo con lei.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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