Cose strane che accadono al tempo di Draghi. Il sindacato per scrivere la riforma degli ammortizzatori sociali si affida più alla destra che alla sinistra. Il motivo? Non trovano sponde nel Pd. Ecco allora che Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, incontra Antonio Tajani e ragiona su come trovare un punto di incontro con le imprese. Non è un testacoda politico. Non è neppure una rivoluzione copernicana. È che la questione lavoro sarà il grande tema dei prossimi mesi e non tutti se ne sono accorti. Non ci pensa Enrico Letta, temporeggia Andrea Orlando, pensano decisamente ad altro Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Il «patto sociale» non è un loro problema.
Le mascherine abbassate sul volto sono un segnale. È come se il tempo ora ricominciasse a correre. Il limbo sta per finire. Sospiri, torni a guardare avanti e respiri futuro. Ti apri alla vita quotidiana, normale, magari senza esagerare, perché l'emergenza non è ancora davvero finita. È tutto molto bello, solo che adesso bisogna fare i conti con gli arretrati. Il limbo ha un costo. Quello che preoccupa di più è il lavoro. Il blocco dei licenziamenti dura da oltre un anno. È servito a mitigare il dramma sociale della pandemia. Non si può continuare così a lungo. Il governo in questi giorni sta valutando come e quando togliere il blocco. Le imprese non vogliono andare oltre luglio, i sindacati parlano di fine ottobre. La risposta di Draghi non è netta. È graduale. Ha messo su una cabina di regia e si lavora a un «decreto ponte» per gestire il passaggio senza troppi traumi. È la prossima grande sfida che questo governo, sorretto da una maggioranza anomala, deve affrontare. Finora abbiamo pensato soprattutto a proteggerci dal virus, ora bisogna reinventarsi una vita.
Questa storia passa da una riforma degli ammortizzatori sociali. È lì il senso del decreto ponte. All'inizio non si pensava a una cabina di regia. È una scelta che Draghi ha dovuto fare per compensare qualche ritardo di troppo di Andrea Orlando. Il ministro del lavoro ha faticato a presentare un piano. Tutto questo suona perfino un po' strano, perché ancora una volta il Pd sembra lontano dai temi storici della sinistra. Non è più la sua battaglia. Questo è il sentimento della base. Qualcosa si è rotto però anche con i sindacati. Si racconta che per Cgil, Cisl e Uil in questi mesi sia stato più facile dialogare con i ministri di centrodestra. Non è un caso che Renato Brunetta, solo per fare un esempio, parli da tempo di «patto sociale». È quello che lui ha stretto con i sindacati per la riforma della pubblica amministrazione. È un modello che si può ripetere sulle politiche del lavoro. Quando si parla di lavoro il Pd si accartoccia, si nasconde, prende tempo e si sposta ai margini.
I fischi raccolti in Liguria, davanti allo stabilimento ex Ilva di Cornigliano, non sono solo uno sfogo contro il «palazzo», qualsiasi «palazzo». C'è anche la delusione di chi da tempo non si sente più rappresentato da un partito di statali e pensionati. È questa la domanda più gentile che arriva dagli operai. «Cosa ha a che fare il Pd con noi?»
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