Se i maestri del pensiero diventano gli algoritmi

Influenze ideologiche: l'elaborazione ideologica delle élite di un tempo è stata sostituita da algoritmi che selezionano i temi

Se i maestri del pensiero diventano gli algoritmi
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Viviamo davvero in un'epoca in cui il pensiero si è estinto e la cultura è stata sostituita dagli algoritmi? Oggi abbiamo idee che sembrano estremiste, per come si sviluppano calpestando i concetti di umanità e sostenibilità. Si pensi al proliferare delle teorie sessuali oppure allo scontro tra tifoserie sui temi ecologici, o ancora alle varie figure di negazionismo. Scavando a monte sembra che non ci sia un'ideologia vera e propria. Invece abbiamo un popolo a valle che aderisce a queste nuove proposte arricchendole con creatività. Di fatto l'elaborazione ideologica delle élite di un tempo è stata sostituita da algoritmi che selezionano i temi. Si è passati da un modello di «ideologia centralizzata» delle élite del passato, a una sorta di «darwinismo culturale algoritmico», in cui le idee si evolvono e si diffondono secondo le logiche delle piattaforme digitali. Tradizionalmente, le ideologie nascevano e si sviluppavano in ambiti ristretti: accademie, circoli politici, élite culturali. Oggi, invece, il processo sembra più "orizzontale", con contributi che emergono da una pluralità di voci, spesso attraverso i social media. Qui entrano in gioco gli algoritmi, che non "creano" le idee, ma ne amplificano alcune relegandone altre in secondo piano. Questo meccanismo non è neutrale: è influenzato dai parametri definiti dai creatori delle piattaforme (profitto, engagement, polarizzazione).

Le idee che emergono spesso vengono modificate, arricchite o radicalizzate dalla base. Diversi movimenti si sono evoluti grazie al contributo di milioni di persone che hanno interpretato, reinterpretato e condiviso valori, spesso in modi divergenti rispetto alle intenzioni iniziali. Questo potrebbe sembrare un processo «anarchico», ma risponde a logiche emergenti che riflettono le pulsioni o le paure collettive.

L'uso dell'intelligenza artificiale amplifica ulteriormente questa dinamica. Gli algoritmi analizzano immense quantità di dati e individuano schemi, evidenziando ciò che cattura l'attenzione o genera consenso. È una selezione «evolutiva» delle idee, simile al processo darwiniano: solo le idee più adatte (a generare click, condivisioni o consenso) sopravvivono e si diffondono. Tuttavia, ciò non implica necessariamente profondità o sostenibilità, bensì una sorta di adattamento superficiale al contesto immediato. Questo sistema pone problemi di sostenibilità, perché l'accelerazione e l'estremizzazione delle idee spesso contrastano con i valori tradizionali e con il tempo necessario alla società per adattarsi. In assenza di una visione centralizzata, la mancanza di un «centro» ideologico può portare a una frammentazione culturale e a una perdita di coerenza nei grandi progetti al punto che, anche sul piano politico, quelli a lungo termine sono sempre meno. E quando esistono spesso non perseguono il pubblico interesse.

Anche perché chi controlla gli algoritmi (grandi aziende, governi, ecc.) ha un potere enorme nel determinare le idee che emergeranno o che saranno soffocate. Ma chi controlla i controllori degli algoritmi? Se gli algoritmi plasmano il nostro pensiero, cosa resta del nostro libero arbitrio? Siamo ancora in grado di scegliere in modo autentico o ci stiamo adattando passivamente a logiche imposte? Su questi temi si gioca il futuro della democrazia e il suo reale senso in equilibrio tra manipolazione e libero arbitrio.

Servirebbe un antitrust degli algoritmi, a tutela delle idee e del pensiero, sottoposto ad un controllo democratico. Viviamo in un mondo in cui la libertà di esprimersi sembra garantita, ma in realtà le voci più amplificate sono spesso le più vuote di contenuto.

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