Se Napoli rinuncia a trasformare il centro in un'enorme pizzeria

Per tre anni bloccata la concessione di nuove licenze per friggitorie dentro l'area patrimonio Unesco

Se Napoli rinuncia a trasformare il centro in un'enorme pizzeria
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Napul'è mille friggitorie. Ma mille e non più mille. Perché il comune partenopeo ha deciso che per tre anni non si potranno aprire nel centro storico nuove attività di somministrazione di cibi e bevande né allargare quelle già esistenti. Una decisione, quella dell'amministrazione del sindaco Gaetano Manfredi, presa per «salvaguardare il Centro storico in qualità di sito Unesco e quindi, in particolare, le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico» e per «tutelare le attività tradizionali e la qualità di vita dei residenti».

Il messaggio che arriva da sotto il Vesuvio è che a volte per tutelare l'identità di un luogo bisogna rinunciare a quello che questa identità ha contribuito a costruire: nella fattispecie pizze, taralli, sfogliatelle, crocchè, frittatine. Scongelati e scaldati, fritti e rifritti a tonnellate ogni giorno nelle stradine del centro storico di Napoli, tra il cardo e il decumano. Avete mai provato a fare una passeggiata per le strade attorno a piazza del Gesù Nuovo, a piazzetta Nilo, a piazza San Domenico Maggiore, lungo via Benedetto Croce, un budello largo pochi metri che si riducono a causa delle seggioline e dei tavoli di decine di bar tutti uguali, che vendono babà da asporto, gelati che spesso come l'uomo di Robert Musil sono senza qualità, fette di casatielli industriali? Secondo Palazzo San Giacomo nell'area interessata dal vincolo, estesa 1,2 chilometri quadrati, ci sono 1.555 attività di ristorazione di vario genere, quasi il 20 per cento dei 8.020 punti vendita di food and beverage presenti su tutto il territorio comunale, esteso cento volte tanto. E negli ultimi tre anni malgrado lo stop del Covid il tasso di crescita di queste attività è stato del 10 per cento. Ognuno della sua anima fa quello che vuole, ma Napoli se l'è venduta piuttosto a buon mercato, il prezzo di un caffè dalle tre «c»: non caldo, carico e comodo, come vuole la tradizione; e nemmeno «comm' cazz' coce», come da parodia vernacolare; ma «così corrompiamo 'o centro».

Napoli si è venezizzata.

E siamo sicuri che debba essere questo il destino del centro storico delle nostre città d'arte? Siamo sicuri che ogni destinazione turistica debba diventare un suk di cibo dozzinale e piatti di plastica, di tovagliolini sporchi di pummarola appallottolati e buttati sui cubetti di porfido sconnessi? Anni fa, prima che diventasse una destinazione, il centro di Napoli era un luogo disadorno e affascinante, che sapeva di panni stesi al sole e l'odore del ragù arrivava dalle finestre spalancate delle case oggi trasformate in bed&breakfast. No, non siamo di quelli che pensano che si stava meglio quando si stava peggio, ma Napoli merita un peggio un po' migliore di un Aperol Spritz nel bicchiere di plastica.

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