Dopo la catastrofe causata dal maltempo nelle scorse settimane, il Veneto prova a riemergere: specie in quelle valli bellunesi che hanno visto franare interi centri abitati, trovandosi con le strade invase da alberi sradicati dalla furia del vento. La cronaca, però, obbliga a constatare che Stato e burocrazia, ancora una volta, sono assai più di ostacolo che di aiuto. Qualche giorno fa, infatti, sul percorso che conduce al rifugio Dal Piaz un'ammirevole mobilitazione di volontari raccolti dalla sezione di Feltre del Cai (l'associazione degli amanti della montagna) è stata bloccata dai carabinieri. Il motivo è che lo Stato ha rivendicato la proprietà sul legname che i volontari bellunesi erano impegnati a spostare, in modo da ripristinare viabilità e collegamenti. Come se quei volontari fossero lì per rubare un bene che non è loro L'episodio illustra come ormai in Italia il buonsenso sia ormai venuto meno, e come la forma trionfi sulla sostanza, perché senza dubbio taluni boschi sono demaniali (quel legname, dunque, appartiene allo Stato), ma è vero soprattutto che ora bisogna porre rimedio a uno sfascio che impedisce il ritorno alla normalità. In casi come questi, istituzioni degne di rispetto non ostacolerebbero chi aiuta una comunità a ripartire e non parlerebbero di «danno erariale».
Al contrario, valorizzerebbero un civismo di questa natura. Per giunta, come ha sottolineato Angelo Ennio De Simoi (responsabile del Cai feltrino), il vero danno è quello causato da una macchina burocratica che impedisce alla gente di rimboccarsi le maniche, darsi da fare, ripristinare le vie di collegamento. Per di più il Cai, prima di iniziare a liberare i sentieri, aveva provato a impostare un programma di lavoro concordato con tutte le autorità competenti, ma l'Utb (Ufficio territoriale per la biodiversità, proprietario della strada) non si è presentato. La vicenda insegna allora anche un'altra cosa: e cioè che, se il Palazzo ha perso contatto con la realtà, è bene che le montagne venete siano restituite alla loro gente. I boschi e i pascoli devono insomma essere ridati a quelle comunità (basti ricordare le «regole ampezzane») che in molti casi ancora oggi si prendono cura del territorio, assai meglio di quanto non faccia lo Stato centrale. È passato un anno dal referendum sull'autonomia ed è stato un anno perso.
Il Veneto continua a subire un residuo fiscale umiliante («paga e tace», anche se sotto la cenere la rabbia cova), mentre quella di cui si discute a Roma è un'autonomia meno che dimezzata. Per l'esecutivo giallo-verde le priorità sono di altro tipo e ogni richiesta di autogoverno è tranquillamente ignorata.
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