Sei anni, poi l'assoluzione per le critiche alla mostra "Porno per bambini"

Io prima condannato, ora prosciolto: "Porno per bambini" un caso infinito

Sei anni, poi l'assoluzione per le critiche alla mostra "Porno per bambini"
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Quasi sei anni di calvario giudiziario per avere criticato una mostra. Non è uno scherzo, ma una vicenda vissuta in prima persona. Riassumo brevemente i fatti: il 13 dicembre 2018, in un locale milanese, avrebbe dovuto tenersi l'inaugurazione di una rassegna di disegni a carattere sessuale. Sul materiale promozionale campeggiava a caratteri cubitali lo pseudonimo dell'artista: «Porno per bambini». Come prevedibile, numerose furono le polemiche che accompagnarono l'annuncio dell'evento che, alla fine, non ebbe luogo. Su ilGiornale.it scrissi un breve commento, dal titolo «Porno per bambini: orrore demoniaco nella Milano chic». Il contenuto era forte, ma in alcun modo oltrepassava, per come ha stabilito una sentenza divenuta irrevocabile lo scorso 11 settembre, il diritto di critica. Fui querelato dai titolari del locale che avrebbe dovuto ospitare l'inaugurazione e, rinviato a giudizio, condannato in primo grado a 5mila euro di multa e a risarcire l'artista e la proprietà del locale con la somma di 25mila euro. Il motivo? Secondo il giudice, «() il tenore del titolo () affiancato alla pubblicazione della locandina dell'evento era di per sé sufficiente a ledere la reputazione dell'illustratore e del centro culturale ()». Poi, nell'articolo, dichiaravo che le «vittime dell'evento che si sarebbe dovuto tenere () sono i bambini», mentre, secondo l'interpretazione del magistrato, l'artista avrebbe semplicemente tradotto «in linguaggio giocoso immagini dal contenuto astrattamente erotizzante rappresentandole non come avrebbe fatto un adulto, ma come avrebbe potuto fare un bambino ()». In secondo grado di giudizio il mio legale, l'avvocato Marco Martini del Foro di Monza, scriveva nei motivi d'appello che, tra le altre cose, «la vicenda in esame si presta, all'evidenza, ad essere affrontata attraverso la lente personalissima del soggetto che l'approccia, frutto del proprio bagaglio culturale, ideologico, politico, religioso, morale». Le motivazioni dell'avvocato trovavano, in sede di udienza, il 25 marzo del 2024, il consenso del Procuratore generale. Ebbene, dopo anni di preoccupazioni per la sola colpa di avere espresso un'obiezione nei confronti di un'iniziativa volutamente provocatoria, venivo assolto dalla Corte di Appello di Milano, perché «il fatto non costituisce reato».

La Corte, in particolare, rilevava come avessi semplicemente dato «una lettura del contenuto della locandina (dell'evento, nda) corrispondente () al dato letterale della stessa» ed espresso una critica «con termini certamente forti, ma corrispondenti allo sdegno provocato dall'idea che venisse organizzata in città una mostra con un simile contenuto ()». Un bell'epilogo per chi, anche in epoca di pensiero unico, ritiene la libertà di espressione ancora un valore. Ma era necessario?

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