"Ministra, presidenta e onorevola". Ma l'ultimo blitz 5S viene sventato

Nell’ultima uscita istituzionale i grillini hanno provato a modificare per via parlamentare la lingua, la grammatica, la tradizione, l’istituzione italiana

"Ministra, presidenta e onorevola". Ma l'ultimo blitz 5S viene sventato

“La ministra”, “la Presidenta del Senato”, “l’onorevola”. È il danno che volevano fare stamattina al Senato. L’ultimo tentativo dei dei grillini (anzi, delle grilline) a Camere sciolte di lasciare il loro ricordo per l’umanità, come se non fossero bastati la riduzione della rappresentanza, l’abolizione della povertà, la dipendenza dai russi e la discesa in campo di Casalino. Cosi, questa mattina, nell’ultima uscita istituzionale dei grillini prima di ricacciarsi per sempre nel chiuso dei meetup, hanno provato a modificare per via parlamentare la lingua, la grammatica, la tradizione, l’istituzione italiana.

E se finora alcuni giornali militanti del progressismo, rincorsi da qualche eletto, si erano spinti ad appendere la targhetta “assessora”, oggi con un emendamento la senatrice 5s Alessandra Maiorino ha provato ad inserire “la ministra” come parola ufficiale nelle istituzioni. L’emendamento prevedeva di adeguare ai tempi il linguaggio aggiungendo in tutte le comunicazioni istituzionali - compreso il testo del regolamento - i nomi dei ruoli e funzioni declinate al femminile ad esempio "senatrice" oltre che senatore, "la presidente" o "la ministra”; “affinché nella comunicazione istituzionale e nell'attività dell'Amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l'adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l'utilizzo di un unico genere nell'identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne”.

Tra tutti gli esseri viventi- ha spiegato la senatrice cinque stelle Maiorino illustrando l’emendamento- l’essere umano è l’unico che può vantare una forma cosi elevata di linguaggio” sciorinando un elenco di filosofi.Non un obbligo secondo la grillina “Ci sono donne che preferiscono essere chiamate “il presidente” e potranno continuare a farlo, oggi è la scelta che manca perché il regolamento contempla solo il maschile. Là dove c’è la scelta esiste la democrazia”.

Per Forza Italia è interventuto il senatore Schifani lasciando libertà di voto, ma ricordando che la funzione non dipende dal genere, “e qui siamo tutti gli stessi”. Lucio Malan, dichiarando l’astensione di Fratelli d’Italia, si è detto contrario a modificare la lingua per regolamento: “mi rifaccio a quanto detto dalla senatrice che citava i filosofi: il linguaggio esprime una cultura quindi non deve essere regolamentato, ma deve essere recepito spontaneamente”. La senatrice Julia Unterberger ha detto nel tedesco questa discussione si faceva vent’anni fa mentre in Italia siamo indietro perché “abbiamo la donna delle pulizie al femminile ma il giudice solo al maschile”.

E il farmacista allora che finisce con la “a” non si sentirà discriminato anche lui?

Valeria Valente per il Pd è entrata in una controproducente contraddizione: “quando arrivano in alcuni ruoli le donne sono costrette a omologarsi, invece siamo diversi e questa differenza va declinata verbalizzata e riconosciuta”. Dopo anni di lotte per la parità di genere arriva il Pd a pretenderne la diversità. Cosi come la senatrice DePetris ha detto che “le istituzioni devono adeguarsi a femminile e maschile perché in italiano non esiste il neutro”… e menomale che eravamo nell’anno del gender fluid…

L’emendamento viene messo a voto segreto, e viene bocciato nonostante 152 favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti. Salta il quorum per sei voti.

I Cinque Stelle non mollano e provano a dire che non avevano capito che serviva la maggioranza assoluta. “Mi spiace se lei si sia distratta, ma i senatori dovrebbero conoscere il regolamento” chiude il presidente (si dice cosi) del senato Casellati.

Ovviamente subito interviene Laura Boldrini: “La destra conferma ancora una volta di avere una visione della società retrograda e oscurantista. Frenare l’evoluzione della lingua è un’operazione antistorica. Dal partito di Giorgia Meloni, oggi, un altro colpo basso inferto alle donne: mettere al bando l’uso del genere femminile quando si tratta di ruoli apicali, vuol dire fare una ulteriore discriminazione ai danni delle donne”. Alla Boldrini come al solito interessano i ruoli apicali, mai si è battuta per le poche donne che lavorano all’altoforno.

Fuori dall’aula provano a cavalcare anche su questo argomento l’allarme fascismo riesumato per la campagna elettorale. "La destra chiede il voto segreto per affossare l’emendamento per introdurre nel Regolamento del Senato la parità di genere nel linguaggio ufficiale - dice dal Pd Simona Malpezzi - Questa è la destra reazionaria che vuole guidare il Paese: per loro le donne non esistono neanche nel linguaggio."

Le risponde Caldroli: “veramente l’emendamento non è passato perché non hanno votato 18 senatrici del campolargo."

L’ultimo danno epocale dei 5 stelle è stato sventato, grazie un’alleanza sciolta all’ultimo momento. Se il governo Draghi non fosse caduto avrebbero causato anche quest’ultimo danno irreparabile alle nostre istituzioni, e il pd avrebbe certamente votato “la ministra” pur di non andare a casa.

Del resto qualche giorno fa il ministro Orlando chiamò la neoeletta Francia Marquez “vicepresidenta” della Colombia.

Chissà che ne pensa il suo mentore Giorgio Napolitano, che solo qualche anno fa ancora in carica al colle, un giorno nel salutare l’allora ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli alla consegna di un premio letterario, disse: "Valeria non si dorrà se insisto in una licenza, quella di reagire alla trasformazione di dignitosi vocaboli della lingua italiana nell'orribile appellativo di ministra o in quello

abominevole di sindaca”, prendendo applausi scroscianti da tutta la sala di letterati.

Era l’epoca i grillini chiedevano impeachment al presidente della repubblica, e il pd ancora non li rincorreva sullo stesso linguaggio.

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