La sfida di Sangiuliano: "Sogno una cultura libera"

Dalla rivolta contro la cappa di conformismo del '74 a un'egemonia di sinistra ancora da scardinare

La sfida di Sangiuliano: "Sogno una cultura libera"
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«Non si tratta di sostituire un'egemonia di sinistra con un'egemonia di destra ma di rendere la cultura italiana finalmente libera e pluralista». Ha scelto queste parole il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per concludere l'incontro sul «1974». Sono parole in linea con quelle dei fondatori del Giornale, ad esempio il maestro della terza pagina, Guido Piovene, uno dei maggiori scrittori del XX secolo. Fu lui a impostare le coordinate alle quali ancora cerchiamo di attenerci: premiare la qualità delle idee e degli autori; non ingannare mai il lettore; smascherare, con spirito corsaro, le camarille culturali e ridere dei salotti politicamente corretti.

Questo spirito ribelle è emerso dagli interventi di tutti i partecipanti all'affollato incontro condotto da Vittorio Macioce con la partecipazione di Domizia Carafoli (28 anni al Giornale), Massimiliano Scafi (al Giornale dal 1974) e Michele Brambilla (firma del Giornale).

Meraviglioso quel 1974, quando il 24 giugno si aprirono per la prima volta le porte del Giornale... Anzi, orrendo. Il 1974, ha ricordato Macioce, è un anno segnato da stragi di Stato e omicidi politici: si passa dalle parole alle spranghe e dalle spranghe alle P 38. L'ideologia marxista-leninista, che di lì a poco franerà a causa delle sue insostenibili contraddizioni, va per la maggiore nella penisola ispirando gruppi e gruppuscoli pronti a menare le mani. Ne farà le spese il Fondatore, Indro Montanelli, gambizzato tre anni dopo. Il 1974 è anche l'anno in cui la borghesia inizia a cedere alle mode sinistrorse, sposandole senza rendersi conto di cosa accadesse in realtà. Brambilla ha sottolineato il clima di conformismo soffocante che si impone nel mondo della cultura e dei media. Sarà proprio questo conformismo a convincere il più grande giornalista italiano, Montanelli, a tentare una avventura a una età in cui molti puntano alla pensione. Il Corriere della sera non è più se stesso. Il nuovo direttore, Piero Ottone, strizza l'occhio ai movimenti. Inconcepibile per un conservatore di stampo liberale come Indro. Ottone coglie la palla al balzo per liberarsi di un alter ego ingombrante. Montanelli, però, si porta via la gioielleria di via Solferino, da Giovanni Arpino a Egisto Corradi. La pagina culturale sfoggia due fuoriclasse, Guido Piovene, appunto, ed Enzo Bettiza.

Il vascello è corsaro ma a bordo sanno anche come divertirsi. Domizia Carafoli ha raccontato la strana aria che si respirava in quegli anni. Da una parte, il Giornale era sotto assedio, dall'altra si era sviluppato un certo cameratismo. Esce, tra l'altro, un'immagine inedita di Montanelli alla mano, a modo suo: «Le mie porte sono sempre aperte per voi redattori ma cercate di non rompermi l'anima in ogni momento». A Massimiliano Scafi, fresco e soddisfatto inviato: «Ci serve un vaticanista. Con quei boccoli, tu piaceresti ai Cardinali». Scafi rappresenta l'anima romana del Giornale e ricorda la gavetta: «La prima volta firmai una breve di cinque righe. Me la fecero riscrivere sei o sette volte. Era dura però i vecchi redattori ti costringevano a badare alla qualità».

La seconda parte delle interviste ha proposto invece uno sguardo sull'oggi e sul domani: Macioce ha suggerito che ci sia una certa nostalgia delle contrapposizioni forti di un tempo. Variegati i pareri degli ospiti, concordi però nell'affermare che il clima è diverso, e il ritorno della violenza appare impossibile. Il ministro, dal canto suo, ha spiegato l'orientamento del governo.

Facendo riferimento alla polemica sulla presenza italiana alla Buchmesse, Sangiuliano ha detto che si tratta aprire le porte anche a chi è sempre stato escluso per motivi di conformismo politico senza escludere gli altri: «Si tratta di aggiungere e non di levare o sostituire». Levare, sostituire, sbianchettare sono le regole di quel mondo autoreferenziale che il Giornale contesta da cinquant'anni. Che la cultura sia solo di sinistra, è una bufala colossale: ormai l'hanno capito tutti.

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