A coloro che pensassero che l'alpinista o ferratista Fabrizio Longo «se l'è cercata» (parte retorica dell'articolo) o che «non si va in montagna da soli» (queste cose) si potrebbero opporre le statistiche secondo le quali l'incidenza degli incidenti stradali o domestici non rendono molto più sicuro il restarsene a casa.
Non è un argomento che fa molto presa, d'accordo: allora spieghiamo (parte didascalica) che una ferrata è una fune d'acciaio che da una partenza porta a un arrivo (una vetta, spesso) e che, a seconda, può offrire staffe e appigli che facilitino la progressione; alla fune ci si deve assicurare con due moschettoni collegati all'imbrago indossato dall'escursionista, e ogni moschettone deve essere staccato e riattaccato tra i punti di giunzione che dividono e tengono tesi i vari tratti di fune: in teoria, facendo le cose bene, precipitare è impossibile, perché uno dei moschettoni è sempre assicurato alla fune, e anche lo strappo che derivi da una possibile caduta sarebbe mitigato da un dissipatore che lascerebbe appesi alla corda come salami.
Bene, e allora perché Fabrizio Longo è precipitato? Perché la gente muore in montagna? Perché dobbiamo leggere che, sempre ieri, un'escursionista ha perso la vita precipitando da un'alta via del Bellunese? Ovviamente una risposta tecnica non l'abbiamo: per vicinanza ideale con un uomo che sul web, ieri, è stato definito solo per il suo status («direttore di Audi Italia») possiamo corrispondere la solidarietà di chi, lo scrivente, è un datato alpinista come lo era Fabrizio Longo, e, oltre a conoscere la ferrata che gli è stata fatale, forse conosce anche certe dinamiche che possono tramutarsi in statistiche fatali.
Fabrizio Longo, per passione, era un alpinista. Gli alpinisti non sono esattamente dei salitori di ferrate e, anzi, spesso le snobbano; gli alpinisti, essenzialmente, salgono le montagne con corde, moschettoni e chiodi piantati nella roccia (spesso fissi) e si muovono quasi sempre con dei compagni che si garantiscano la sicurezza l'un altro: non stiamo a spiegare, ma cadere per un tratto di corda dinamica (un «tiro») è relativamente normale, insomma può capitare, mentre il fattore di caduta nelle vie ferrate risulta potenzialmente molto maggiore: nelle ferrate, si dice paradossalmente, è vietato cadere. Ma il punto non è questo. Le ferrate non necessitano di un compagno che ti «faccia sicurezza» tenendoti la corda (perché si è assicurati a una fune d'acciaio) e di conseguenza, in termini di sicurezza, la presenza di un compagno non cambia nulla se non per dare l'allarme a cose fatte. Quindi cimentarsi in una ferrata da soli è normale: anzi, può essere la ragione specifica per cui Longo, in mancanza di meglio, può aver scelto di farne una.
Niente di strano: non si tratta solo di percorsi ludici per turisti (ne esistono di difficilissime) e tecnicamente furono inventate durante la Grande Guerra affinché i soldati raggiungessero gli avamposti sulle cime alpine. Il punto è che spesso gli alpinisti usano le vie ferrate per muoversi da soli, appunto, ma rifiutano l'eccesso di aiuto «artificiale» che esse offrono e non si assicurano: perché sono alpinisti, non ferratisti della domenica. È una scelta personale, non è normata o proibita (in montagna non c'è nessuno a controllare che tu abbia, metaforicamente, le cinture allacciate) e, senza farla troppo lunga, corrisponde a non considerare il cosiddetto «rischio zero» non solo perché in montagna il rischio zero non esiste, ma perché probabilmente, se esistesse, molti alpinisti in montagna neppure ci andrebbero: perché rappresenta pur sempre una sfida con se stessi, non una scampagnata.
Ma è inutile fare
filosofia spicciola, ora. Possiamo solo essere certi, per esperienza diretta, che Fabrizio Longo (qualsiasi mestiere svolgesse) è morto in un luogo meraviglioso che un alpinista, come ultima meta, potrebbe persino scegliere.
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