Come ai «bei tempi» dell'Unione Sovietica che lui apertamente rimpiange, con la recente versione di Vladimir Putin bisogna fare ricorso a un'arte che credevamo obsoleta: la «cremlinologia». Chi comanda nell'opaco regime russo dice quasi sempre una cosa intendendone un'altra, e tocca interpretare. Così, quando Putin afferma anche tramite il suo ineffabile portavoce Dmitry Peshkov - che è stato costretto dagli eventi a ordinare un intervento militare «per denazificare l'Ucraina» e che questo intervento «durerà per il tempo necessario», il senso è il seguente: «Siamo a caccia della leadership politica di Kiev, e in particolare del presidente Zelensky, che è un burattino illegittimo degli Usa sostenuto da estremisti nazionalisti antirussi, e non ci fermeremo finché non lo avremo cacciato dal Paese».
Peccato che il 44enne Volodymyr Zelensky, regolarmente eletto tre anni fa a larga maggioranza al contrario di Putin che è uso truccare le elezioni, sia tutt'altro che illegittimo. E soprattutto che definirlo nazista è non solo platealmente falso, ma ridicolo: perché è ebreo. Putin vuole eliminarlo dalla scena perché intende rimpiazzarlo - cosa che qualche settimana fa aveva smentito con toni sdegnati - con un suo tirapiedi filorusso, ovviamente non eletto da nessuno, ma che secondo un collaudato copione verrebbe poi confermato da un referendum popolare adeguatamente truccato, come ai tempi di Stalin.
Anche chi scrive, tre anni fa, aveva sottovalutato Zelensky. Che è un ex attore comico, diventato celebre in Ucraina perché impersonava in una serie televisiva intitolata Servo del popolo un professore che arrivava alla presidenza perché combatteva la corruzione, male atavico ed endemico nel Paese ex sovietico. Sembrava dunque una bizzarra caricatura di se stesso, una soluzione antipolitica abborracciata e indegna di un Paese europeo. Più ancora Zelensky pareva, con la sua inesperienza politica, destinato a essere ridicolizzato dalla vecchia volpe Putin nei negoziati sul Donbass e sul transito dei gasdotti da cui Kiev ricava enormi introiti, oltre che inadeguato a gestire i rapporti con quei Paesi occidentali dai quali tanto desiderava di essere accettato come alleato e partner. Veniva pure indicato come la marionetta di uno dei tanti oligarchi ucraini, quell'Igor Kolomovsky fuggito in Israele dopo avergli messo a disposizione la sua rete tv «1+1».
E invece. Non solo questa «persona semplice» (come ama definirsi) ha dimostrato di saper imparare in fretta il complicato mestiere di capo politico in un Paese al centro di tensioni estreme (inclusa una guerra nel Donbass con la Russia che viene definita «a bassa intensità» ma che in otto anni ha causato 14mila morti), ma ha avuto l'umiltà di circondarsi di consiglieri esperti con l'obiettivo di far incontrare all'Ucraina gli standard richiesti per ottenere gli indispensabili aiuti del Fondo Monetario Internazionale. Il suo popolo non sempre ha apprezzato il suo impegno, e alla vigilia dell'aggressione russa la sua popolarità era in ribasso.
Ma da quando Putin ha cominciato a stringere la sua tenaglia militare, Zelensky ha dato il meglio di sé: sempre calmo, razionale, dignitoso ma fermo nel chiedere sostegno per la scelta occidentale dell'Ucraina, nel mostrarsi in prima linea invitando i connazionali a non cedere al panico anche davanti a un nemico temibile. Confrontato al Putin livido e rabbioso che ieri mattina minacciava di «conseguenze mai viste» i suoi immaginari nemici, il vero statista è lui, il Servitore del Popolo.
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