Sfiducia respinta, Lotti salvo "Contro di me solo calunnie"

Il Senato boccia la mozione M5S, del governo manca solo la Boschi. Renzi: ora querelo, anche io mi divertirò

Sfiducia respinta, Lotti salvo "Contro di me solo calunnie"

Vaghe stelle dell'orsa si leggono negli sguardi ora interdetti, ora annoiati, ora assenti della ministra Marianna Madia. A ondate intermittenti e successive, anche in quelli della squadra di governo. Come falange ordinata, i ministri fanno quadrato fisico attorno al collega azzoppato e in serata l'ex premier Matteo Renzi minaccia querele: «Anche io mi divertirò». Luca Lotti è nel momento più arduo della sua pur breve carriera politica. Ascolta impassibile, palmo a coprire il mento, le accuse che piovono giù come macigni dall'emiciclo cinquestelle, forzatamente vaghi come lo può essere un'accusa che si richiama all'«etica» e alla «questione di opportunità». Ma d'altronde l'inchiesta che lo riguarda è in corso, forse già pure compromessa, e ciò che si sa è frutto di «ricostruzioni giornalistiche», come un po' ingenuamente ammette la mozione di sfiducia individuale.

Il governo è al completo o quasi: manca il premier Gentiloni, per ovvi impegni Ue; a sorpresa diserta Maria Elena Boschi. È a New York, dicono, a rappresentare l'Italia presso l'Onu, commissione sulla condizione della donna. Lei, gemella di renzismo ma rivale di governo, l'aveva del resto già difeso in tivù, nella terza camera di Vespa, e ça suffit. L'epilogo è scritto (161 saranno i «no», 52 i «sì», due gli astenuti), di questo ennesimo processo tra i banchi politici per fatti giudiziari, «gogna mediatica» dietro la quale si rifugia non soltanto il ministro dello Sport nella sua arringa, freddamente rabbiosa, ma come argomentano la loro uscita dall'aula anche molti senatori, a cominciare da quelli di Forza Italia. Lo rivendica il capogruppo Paolo Romani, spiegando l'assurdità istituzionale della «sfiducia individuale». Lo copierà il capogruppo Pd Zanda, che prudentemente si sofferma più sull'impossibilità dell'accusa che sull'enorme imbarazzo della vicenda. Imbarazzo nel quale sguazza invece l'opposizione grillina, leghista e vendoliana: «Ma com'è che lei dice la verità, e il suo accusatore non viene rimosso? Non può essere che la verità la diciate tutti e due», attacca Loredana De Petris (Si). Andrea Augello (Idea) si chiede: «Ma perché Marroni è intoccabile?». Già perché? Se Bruto è uomo d'onore, non può esserlo anche il suo accusatore. Chiaro e lapalissiano. Ma non lo spiega, non spiega nulla, l'autodifesa di Lotti. Vaga e vacua ancor più dell'accusa. Anzi vagamente «evasiva e arrogante» (Scotto), a suo modo intimidatoria. «A chi sputa sentenze dico: Vi aspettiamo in tribunale... Non avete uno straccio di prova... Chi mi accusa rinunci all'immunità». Il giovane ministro della scapigliatura fiorentina è attentissimo a mantenersi dietro lo scudo: «Attraverso me si vuole colpire il riformismo di Renzi». Respinge «il tentativo di discutere la mia moralità», appellandosi a una verità «che prima o poi arriva e quando arriva porta con sé le responsabilità, anche di chi ha mentito, per paura o per altri motivi». Lotti affronta la gogna «a testa alta e viso aperto» e si scaglia contro le sentenze emesse via blog, chi ne chiede le dimissioni è «politicamente scorretto», dice. Finisce in un alito di retorica pretestuosità: «Non accetto lezioni di moralità da un movimento fondato da un pregiudicato».

Ma il vero clou della giornata era stato raggiunto poco prima, quando Lotti giura solennemente che «mai, mai ho avvisato Marroni né nessun altro... Mai». Enfasi che risveglia persino l'attenzione della Madia. Lei lo fissa: negli occhi si legge uno stupore che scruta il mistero dell'ammirazione. O della verità. Mai dire mai.

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