Sforbiciare costa 8 miliardi e non rilancerà i consumi. Ecco chi ci può guadagnare

Il risparmio è insufficiente per modificare gli acquisti delle famiglie. L'incognita dei prezzi

Sforbiciare costa 8 miliardi e non rilancerà i consumi. Ecco chi ci può guadagnare

Per comprendere bene gli effetti di un possibile taglio dell'Iva è meglio utilizzare come esempio beni durevoli con l'aliquota ordinaria al 22 per cento. Se un automobile ha un costo di fabbrica di 10mila euro, il suo prezzo sarà di 12.200 euro. Un taglio di 3 punti dell'imposta, farebbe risparmiare 300 euro che non sono una cifra sufficiente a modificare le proprie intenzioni di acquisto. Idem per una smart tv che costasse 500 euro: tre punti di Iva equivalgono a 15 euro in meno che il commerciante, vista la crisi, potrebbe anche decidere di tenere per sé aumentando il prezzo di vendita.

Ma di che cosa parliamo quando diciamo Iva? Di un'imposta che ha tre aliquote: oltre a quella ordinaria ve ne sono due ridotte al 10 e al 4%, quest'ultima si applica ai beni di prima necessità come pane e latte, ad esempio. Il dipartimento delle Finanze stima quest'anno un gettito di 132 miliardi, in calo rispetto ai 137 miliardi del 2019. Nei primi 4 mesi del 2020, però, la flessione si è attestata al 13,7% e dunque la «pesca» potrebbe rivelarsi molto meno ricca di quanto previsto. Ecco perché il Tesoro intende attendere i dati sulle entrate fiscali del primo semestre per valutare la possibilità di una sforbiciata.

È molto complicato, vista la composizione dell'imposta, valutare i costi e i benefici di un taglio. Alcune stime indicano in 4,5 miliardi lo stanziamento necessario per abbassare di un punto percentuale l'aliquota ordinaria, mentre 3,1 miliardi occorrerebbero per un analogo intervento su quella agevolata al 10 per cento. Dunque 7,6 miliardi per ottenere, come abbiamo visto, un modesto aumento del potere d'acquisto. Il Codacons, però, è ottimista: una riduzione dell'imposta comporterebbe minori costi per le attività produttive e per l'industria e, a regime, produrrebbe innegabili vantaggi su prezzi e tariffe, portando ad un risparmio complessivo pari a circa 250 euro annui a famiglia. A beneficiarne, prosegue l'associazione, sarebbero soprattutto i nuclei più numerosi, per i quali la minore spesa potrebbe raggiungere i 400 euro all'anno. Su base mensile, questo implicherebbe un risparmio tra i 20 e i 35 euro a famiglia, non proprio un toccasana per i consumi che, di fronte a stimoli analoghi (come gli 80 euro di Renzi), hanno mostrato un incremento minimo.

«Se si riduce al 17% cambia ancor poco, per avere effetto deve essere ridotta dal 22 al 10%, così da mettere in moto un gioco al ribasso da parte delle imprese e dei negozianti», ha spiegato Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro e ora advisor indipendente a Londra. «Questo genera concorrenza tra chi vende prodotti e i consumatori e spinge verso il basso i prezzi», ha aggiunto.

La proposta di Codogno appare efficace, ma il costo iniziale si attesterebbe sui 25 miliardi (se strutturata su 6 mesi) o addirittura 50 miliardi (nel caso di un anno).

Al di là della sostenibilità, una simile riduzione aprirebbe necessariamente il dibattito sull'opportunità di destinare quelle risorse a un regime strutturale di flat tax, abbassando le aliquote Irpef. Per sempre e non solo per sei mesi.

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