Il nudo d'arte? Ne son piene le chiese, ma se esposto al museo non piace alla curia.
Vittorio Sgarbi è riuscito dove fallirono Garibaldi e Mazzini: mettere in fuga i preti. Per far cadere il velo su antiche pudicizie e moderne ipocrisie, gli è bastato vestirsi da sindaco di Sutri e far da cicerone durante la mostra allestita nella cittadina laziale in occasione dell'apertura del museo diocesano. Uno scrigno di tesori restituito al mondo con le sue opere: una parte dell'antiquarium di Sutri, con il celebre Efebo, e poi una preziosa selezione di dipinti, sculture e oggetti del territorio della Tuscia, tra i quali i capolavori di Antonio da Viterbo, Sano di Pietro e Antonio Romanazzo. In un'altra sala, alcuni dipinti di Giuseppe Pellizza da Volpedo e, in un'altra ancora, le foto di nudi di Wilhelm Von Gloeden in dialogo con quelli dell'artista contemporaneo Roberto Ferri. Che così fosse lo si sapeva da settimane, come attesta il programma ufficiale dell'evento. Che Von Gloeden fosse noto per i suoi ragazzi siciliani ritratti come mamma li ha fatti, in ambiente pastorale tra anfore o in costumi ispirati all'antica Grecia, nemmeno era un mistero. Eppure, quando sabato mattina il museo è stato aperto al pubblico (presenti, tra gli altri, il vescovo di Civita Castellana Romano Rossi ed il presidente della Segnatura Apostolica, Giuseppe Sciacca), l'atmosfera gaudente che il giorno prima aveva suggellato il taglio del nastro da parte del ministro dell'istruzione Marco Bussetti è diventata un ricordo. Al momento di far tappa nella sala dei nudi, confermano i collaboratori del primo cittadino, «i prelati, invece di fermarsi ad ascoltare il discorso del sindaco, hanno proseguito spediti e senza verbo proferire verso le altre stanze». Un salto in lungo nelle sabbie dell'imbarazzo, con Sgarbi olimpionico d'ilarità: «Peccato: era la sala più eccitante del museo». Tra freddezza e distacco degli astanti in talare, un film già visto. Dopo il Concilio di Trento del 1565, che condannò la nudità nell'arte religiosa, il povero Daniele Ricciarelli passò alla storia non per i suoi gioielli scultorei pure di un certo pregio, e neanche per aver lavorato con Michelangelo, ma per aver accettato di coprire con vestimenti e foglie di fico i genitali dell'affresco del Giudizio Universale, nella Cappella Sistina. E questo gli valse il per niente glorioso appellativo di braghettone.
Eppure, ai braghettoni di tutti i tempi riuscì di coprire alcune pudenda qui e là, non il miracolo di farle scomparire tutte e ovunque. Tolte dai piedistalli, ancora oggi e da sempre sono nudi in tanti, sui muri delle chiese, e tra questi i protagonisti delle tavole del Bronzino e di Pontormo, giusto per citarne qualcuno.
Nessuno è mai riuscito nell'intento di inscatolare pure loro, come la Venere capitolina ai giorni di Matteo Renzi e Hassan Rouhani. A Sutri lo sanno bene e sono già oltre, come si conviene ai campioni dello spirito: in un paese di 4.000 anime, in un giorno solo al museo del finto scandalo hanno contato più di 1.000 ingressi. Amen.
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