Mentre si continua a montare ad arte lo scandalo dei tre deputati che hanno incassato l'indennità Covid dei 600 euro, spunta un'altra falla in una norma scritta dal governo giallorosso di cui avrebbe approfittato anche qualche parlamentare. Con la legge di bilancio 2020, il governo Conte II ha voluto restringere la platea dei beneficiari della flat tax varata dal Conte I. Per risparmiare 1,5 miliardi, nella manovra è stato inserito un divieto di applicazione dell'aliquota ridotta al 15 per cento per le partite Iva che avevano anche un lavoro dipendente o una pensione superiore ai 30mila euro lordi annui.
Questo limite ha effettivamente ridotto la platea dei contribuenti interessati, ma creando un paradosso: il pensionato con trentamila euro l'anno che continua a fare consulenze dovrà applicare l'aliquota intera, il magnate che ha redditi di natura finanziaria o magari immobiliare per milioni di euro, sul lavoro a partita Iva potrà continuare a godere della flat tax ridotta al 15 per cento fino a 65.000 euro l'anno di reddito.
Nel 2019 parecchi parlamentari avevano approfittato del regime di tassazione piatto introdotto con il governo gialloverde per il proprio reddito da lavoro e alcuni, liberi professionisti, avrebbero continuato ad applicare la flat tax nelle fatture anche per il 2020, in forza di una interpretazione dell'indennità parlamentare come non perfettamente assimilabile a reddito da lavoro dipendente. Ma per scoprire con certezza quanti siano bisognerà aspettare la prossima dichiarazione dei redditi.
Il commercialista ed ex parlamentare Enrico Zanetti, pur critico per il modo in cui molti, specie i grillini, stanno strumentalizzando il caso dell'indennità Covid, resta scettico sulla questione flat tax: «Mi pare difficile che parlamentari possano approfittare della tassa piatta -spiega- perché la loro indennità è ormai assimilata a reddito dipendente». Di opinione diversa Gianluca Timpone, commercialista e docente universitario: «I parlamentari con partita Iva potrebbe aver approfittato di un'incertezza nella qualificazione della propria indennità da senatore o deputato -spiega- in più, chi ha ignorato i paletti fissati dalla legge di bilancio, può sempre giocarsela davanti al giudice tributario approfittando di un'altra falla nella legge di bilancio: la norma che riduce il perimetro della flat tax è stata approvata solo il 30 dicembre, l'applicazione immediata contraddice lo statuto del contribuente nella parte in cui vieta modifiche del regime di tassazione che impattano sull'anno fiscale in corso».
E in effetti l'immediata applicazione dei paletti alla flat tax fece scoppiare una diatriba all'interno della maggioranza. La presidente della Commissione finanza, la grillina Carla Ruocco, auspicò il rinvio della nuova forma di tassazione al 2021 in ossequio allo statuto del contribuente, la sottosegretaria all'Economia Maria Cecilia Guerra si espresse all'opposto: paletti subito in vigore. Alla fine il Mef seguì questa strada esplicitandola con una propria circolare. Vinse l'esigenza politica di mettere a bilancio 1,5 miliardi di maggiori entrate fiscali. Ma resta il contrastro con lo Statuto del contribuente, che è pur sempre una legge dello Stato, la 212 del 2000.
Paradossale dunque che a montare la campagna scandalistica sui tre onorevoli accattoni che hanno intascato i 600 euro al mese sia stato chi ha approvato tante norme che, per espressa volontà politica, come nel caso dei tanti bonus a pioggia, o per errori nel disegno della legge, come per il reddito di cittadinanza e l'indennità Covid, sono andati a
chi non ne aveva bisogno. Siamo sicuri che nessun parlamentare, ad esempio, abbia usufruito del bonus baby sitter da 1.200 euro che pure non prevedeva tetti di spesa? Un suggerimento per chi cerca scandali creati ad arte.
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