La dinamica dell'aggressione letale, il supertestimone (forse) e gli interrogatori dei parenti a flusso continuo. Le indagini sull'assassinio di Sharon Verzeni, la 33enne uccisa con quattro coltellate la notte tra il 29 e il 30 luglio, arrancano ma non si fermano. Anzi. Dopo il compagno Sergio Ruocco, i fratelli della ragazza e il padre Bruno, ieri è toccato alla madre Maria Rosa («metterei una sul fuoco per Sergio», ha detto), e agli zii: gli interrogatori dei carabinieri proseguono soprattutto all'interno della cerchia familiare della barista bergamasca. Ma gli investigatori stanno puntando la lente d'ingrandimento anche su altri profili: c'è ad esempio Antonio Laveneziana, 76enne residente proprio in via Castegnate a Terno d'Isola. Il suo balcone affaccia sulla strada dove Sharon è stata colpita a morte. Centocinquanta metri, non di più. Alle 00.50 del 30 luglio l'uomo era fuori, sul terrazzino, affacciato proprio in direzione del killer. Sentito due volte in caserma, il 76enne ha prima dichiarato di dormire e poi, di fronte a un filmato che lo ritraeva affacciato ha aggiustato il tiro senza però fornire indicazioni utili: «Ero sul balcone a fumare, ma non ho visto nessuno». Eppure le due telecamere del bar hanno ripreso una persona allontanarsi dal luogo del delitto in bicicletta in contromano negli stessi istanti in cui la ragazza chiedeva disperatamente aiuto. «Può darsi che non ci abbia fatto caso a una persona in bicicletta, qui passa tanta gente», ha detto al Corriere Laveneziana. L'uomo non vedrebbe bene e avrebbe anche problemi di udito, ma sulla genuinità delle sue parole resta qualche dubbio.
Intanto i primi esiti dell'autopsia sul cadavere di Sharon non hanno fornito molti elementi di novità: di certo l'assassino ha usato un coltello da cucina ed ha agito in modo fulmineo, senza esitazioni, quindi con premeditazione e strategia. Ma non è possibile stabilire se le ferite siano state inferte da un killer professionista o da uno improvvisato, così come risulta impossibile ricostruire se fosse destro o mancino, alto o basso. Perlopiù, il timore è che proprio quell'aggressione «pulita», perpetrata in modo fulmineo, non abbia lasciato tracce sugli abiti. Si cerca una macchia di sudore o una macchia di sangue, ma gli esperti del Ris potrebbero non trovare nulla.
E ieri, a sorpresa, proprio dove l'ex estetista si è accasciata in una pozza di sangue, è spuntata una lettera anonima, scritta a mano con la penna blu.
«Caino è chiunque non parli, è chiunque non dica la verità - è il j'accuse che si legge a nome di una comunità trafitta dal dolore -. Caino è chi sa ma rimane nel silenzio, nell'ombra e fa finta di niente. Non siate complici di questa brutalità».
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