Su un palcoscenico su cui erano state poste le copie dell'archivio atomico che, con mitologica abilità, il Mossad ha trafugato da Teheran e ha trasportato a Gerusalemme, 55mila pagine e 183 dischetti, mezza tonnellata di materiali, Benjamin Netanyahu ha ieri sferrato uno spettacolare fendente contro l'Iran. «In questi materiali - ha detto in inglese perché il mondo capisse bene - c'è il programma segreto, sempre negato, per costruire l'atomica iraniana». Certo, in linea di massima tutti sanno che l'Iran aveva seguitato a arricchire l'uranio per i 20 anni in cui ha seguitato a negarlo: ma nessuno aveva mai visto, nero su bianco, come il piano conservato in archivio nel distretto di Shorabad mettesse in fila, proprio mentre sia Khamenei sia Zarif dichiaravano di non aver intenzione di costruire l'atomica, tutte le sue tappe: dalle centrifughe ai mezzi balistici di trasporto, all'espansione della gittata dei missili, all'integrazione delle testate con i missili («Puntavano ad avere cinque bombe potenti come Hiroshima»), al piano di sperimentazione nucleare per il quale erano state identificate tre zone in Iran. Si chiamava progetto Amad ed era diretto da Mohser Fahrizadeh. E questo nome, ha fatto notare Netnayahu, è oggi di nuovo nel progetto di sviluppo energetico Spnn. In una parola, Bibi ha ripetuto: l'Iran mente, ha mentito, mentirà. E adesso che il mondo sta riconsiderando l'accordo, sa come questo sia avvenuto.
Ieri mattina intanto, persino i sismografi hanno vibrato. È di ieri notte un'incursione misteriosa, attribuita da fonti svariate a Israele. L'obiettivo: depositi d'armi nei dintorni della città siriana di Hama; si parla di una «palla di fuoco» gigantesca, di 26 morti e 60 feriti, e fra i morti ci sarebbero 17 membri della Guardia Rivoluzionaria iraniana. Sono loro i gestori della ennesima base militare costruita in Siria con l'appoggio russo e il sostegno di Hezbollah per mantenere al potere Bashar Assad. Si sa che Israele ha usato i suoi jet e i suoi missili in più di 200 operazioni per impedire che l'Iran e gli Hezbollah situino basi in Siria. Israele ha giurato che lo impedirà: l'8 aprile, dopo che l'Iran aveva compiuto la provocazione del drone, aveva distrutto la base T4, destinata a droni e altre armi e gestita dalle milizie degli Ayatollah, facendo 7 morti.
L'Iran appare confuso, certo l'ultima sventola di Netaynahu non gli chiarisce le idee: mancano due settimane al momento in cui, il 12 maggio Donald Trump farà sapere al mondo se ha deciso di annullare l'accordo dei 5+1, e di tornare alle sanzioni. Una decisione che balena fatale per il regime degli ayatollah, dove la crisi economica è rampante e la frattura interna pesante tra Rohani e le Guardie della Rivoluzione. Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo l'ha detto chiaramente nel suo giro che si è concluso ieri in Giordania, dopo una visita all'Arabia saudita e una a Israele: «Cancelleremo l'accordo se non si riesce a trasformarlo».
E qui diventa fondamentale l'incontro, programmato in queste ore, fra il presidente francese Macron e il presidente iraniano Rohani. Macron, che ha visitato Trump nei giorni scorsi seguito a ruota da Angela Merkel, ha decisamente cambiato la sua posizione di duro critico della scelta abolizionista di Trump. Sono quattro i pilastri, ha detto, che devono sorreggerne una nuova versione: l'abbandono della posizione di conquista imperialista in Medio Oriente; il divieto di costruire e usare missili balistici e veicoli in grado di trasportare armi atomiche; la cancellazione della clausola di «sunset», quella che consentirebbe di riprendere l'arricchimento dell'uranio dopo 10 anni; e le norme di accesso alle agenzie addette per verificare che il trattato sia veramente osservato.
Israele ha detto la sua. Queste due settimane di maggio sono piene di punti interrogativi: il 12 l'appuntamento con la decisione di Trump, il 14 l'anniversario dello Stato Ebraico in cui gli Usa trasporteranno l'ambasciata a Gerusalemme, il 15 il giorno della Nakba, ovvero il disastro come lo chiamano i palestinesi. Sul confine di Gaza un drappello di tre terroristi che ha cercato di penetrare in Israele è stato fermato col fuoco. Tutto il Paese potrebbe essere scosso dalla furia di dimostrazioni, mentre gli americani presentano il loro piano di pace, di cui si sa poco.
Gli inviati di Trump cercano di convincere Abu Mazen a ascoltare le proposte che lui stesso ha definito: «Un prezzo che Israele dovrà pur pagare». È probabile che sull'onda delle vicende coreane, Trump speri di diventare un candidato sorprendente eppure ovvio al premio Nobel per la Pace.
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