Sono trenta i rettori che hanno richiesto di aumentare il proprio emolumento annuo, spesso più che raddoppiandolo. Un fenomeno reso possibile dal decreto 143 del 23 agosto 2022, emanato nell'ultimo periodo del governo guidato da Mario Draghi, e che potrebbe comportare costi piuttosto esosi: se al momento l'esborso complessivo per i compensi dei rettori è pari a 1,7 milioni di euro, con il Dpcm appena citato salirebbe a oltre 3,5 milioni su base annua. I numeri non lasciano grandi margini di interpretazione: un aumento di spesa di 1,8 milioni, più del doppio.
L'incremento invocato dai rettori è legato ad alcuni parametri di sostenibilità dell'università patrimonio netto, attivo, valore prodotto e spesa per il personale ma non a valutazioni di merito. Alla base della richiesta avanzata da nord a sud ci sarebbe l'aumento esponenziale di responsabilità alla guida degli atenei, vere e proprie aziende secondo i diretti interessati. La palla passa al ministero dell'Università e della Ricerca, ma solo da un punto di vista formale: il dicastero guidato da Anna Maria Bernini deve concedere il proprio nulla osta all'operazione ma non giudica nel merito, si limita soltanto a verificare i requisiti della proposta.
Partita dalla Puglia, per la precisione dal Politecnico di Bari, la richiesta di aumenti salariali da parte dei rettori si è allargata a macchia d'olio: da Torino a Genova, passando per la Scuola Normale Superiore e Tor Vergata, fino a Pavia e Camerino. Entrando nel dettaglio degli incrementi dei singoli atenei, è impossibile non notare le cifre dell'università di Genova, in vetta alla graduatoria: il rettore registrerebbe un aumento di 116.157, 67 euro su base annua, con uno stipendio finale di 160.567,00 euro. Subito dietro l'Università del Piemonte Orientale, il cui valore di incremento sarebbe di 112.795 euro portando lo stipendio allo stesso livello di quello del collega di Genova. Terzo posto per il rettore di Salerno, che può contare su uno stipendio di partenza più alto (71.658 euro): l'incremento supera i 110.804 mila euro su base annua. Quarto e quinto posto rispettivamente per il rettore dell'università di Ferrara (da 47.973 a 105.294,82 euro su base annua) e per quello dell'Alma Mater (da 50 a 150mila euro su base annua).
Insomma, pubblicamente i rettori parlano di tagli enormi ma nel frattempo trovano i soldi per alzarsi lo stipendio. L'ultimo attacco al governo è stato firmato dalla presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) Giovanna Iannantuoni in audizione in Commissione Bilancio: «Avete deciso che il nostro Paese non ha bisogno dell'università e questo, da economista, mi sconvolge». Mera «propaganda» per il ministro Bernini, un attacco strumentale sotto diversi punti di vista.
Oltre a dimenticare la pioggia di fondi legati al Pnrr, viene completamente rimosso dal dibattito il dossier tasse: le università stanno riducendo la platea di chi paga le imposte universitarie. Un aiuto a chi è in difficoltà - il 40 per cento degli studenti è esonerato - ma anche una strategia per attrarre nuovi iscritti e rivendicare record su record. E giustificare l'aumento di stipendio.
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