Si pente il killer del boss di 'ndrangheta. A tremare adesso sono ultrà e mafiosi

Beretta trasferito fuori Milano, decisivo il ruolo dei pm

Si pente il killer del boss di 'ndrangheta. A tremare adesso sono ultrà e mafiosi
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La notizia era nell'aria da settimane, il Giornale nella tarda serata di ieri ha avuto un'importante conferma da Radio carcere. Si è pentito e collabora con la Procura Andrea Beretta, l'ultrà interista che ha ammazzato il rampollo di 'ndrangheta Antonio Bellocco a Milano. «Sta in un carcere in centro Italia famoso per essere quello dove spediscono i collaboratori di giustizia», ci dice una fonte penitenziaria. La notizia finisce subito sul Giornale.it, poco dopo le 20. Neanche due ore dopo Repubblica, Corriere e Fatto quotidiano confermano l'indiscrezione del Giornale, non senza far trapelare l'irritazione della Procura che avrebbe voluto ritardare il più possibile la notizia del pentimento di Beretta, trasferito a fine settembre, per motivi di sicurezza, da Opera a San Vittore in isolamento. Lontano da occhi e orecchie indiscrete. In realtà una decina di giorni fa sarebbe stato spostato in un altro penitenziario molto lontano da Milano ma anche dalla Calabria, dove la cosca della sua vittima gliel'ha giurata e lo vuole morto. Decisivo, dicono da Palazzo di Giustizia, il lavoro dei pm Sara Ombra e Paolo Storari. L'addio del suo ex legale di fiducia Mirko Perlino, che ha abbandonato la sua difesa diversi giorni fa, ne era una prima conferma.

Trema la 'ndrangheta, tremano i personaggi che gravitano intorno allo stadio San Siro: si sta per scoperchiare il verminaio dietro la gestione dei business milionari delle curve, ma non solo. Ci sono gli affari collegati al tifo e benedetti dalla 'ndrangheta, dalla droga ai parcheggi, dal merchandising al bagarinaggio, dalla security nei locali ai festini hard. Ecco perché la notizia doveva restare a lungo segreta. La scelta di Beretta di collaborare con la giustizia era stata ipotizzata già a ottobre da Klaus Davi durante la trasmissione lo Stato delle cose di Massimo Giletti. Aver ammazzato il rampollo di una delle cosche più potenti (e armate) della 'ndrangheta significa essere un morto che cammina. L'accanimento sulla vittima immortalato dalle telecamere della palestra Testudo di Cernusco sul Naviglio, con diverse coltellate, ne ha aggravato le responsabilità. Tanto vale pentirsi e chiedere la protezione dello Stato.

Che qualcosa di grosso si fosse mosso lo si era capito anche dal collimare di alcune indagini ferme da anni. Come il tentato omicidio di Enzo Anghinelli a colpi di pistola il 12 aprile 2019, dietro cui per la Procura di Milano ci sarebbero l'ultrà rossonero Daniele Cataldo e il suo padrino Luca Lucci, già in cella per le indagini sulle curve milanesi. Manca ancora il colpevole della morte dell'altro ultrà milanista Vittorio Boiocchi, ammazzato sotto casa sua due anni esatti fa con una pistola proveniente dalla Repubblica Ceca. Ancora per quanto?

In Calabria la notizia non ha sorpreso Giuseppe Pesce detto Testuni (cugino della vittima), appena uscito da 13 anni al 41bis e capo indiscusso della famiglia Pesce-Bellocco, la storica cosca di Rosarno: «Che sembri un suicidio in cella o meno poco importa, Beretta deve morire», aveva detto un affiliato calabrese a Davi.

La madre di Bellocco Aurora Spanò, che deve scontare altri 20 anni al 41bis, l'aveva praticamente previsto: «Confidiamo nella magistratura», detto dall'ultima esponente della 'ndrangheta matriarcale, voleva dire esattamente l'opposto.

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