Dal fronte politico, la crisi turcorussa ora si allarga anche (o soprattutto) a quello energetico, con il convitato di pietra che torna, con prepotenza, protagonista: il gas. Gazprom annuncia che «possono crearsi seri rischi di interruzione delle forniture di gas russo verso l'Europa», replicando di fatto lo schema di sei anni fa, quando uno stop invernale al flusso fece tremare l'area europea. L'Ucraina non ha ordinato nuovo gas alla Russia, per questo non ci sono stati né pagamenti né forniture. Mosca precisa che, in assenza di nuovi pagamenti e avendo inviato ieri l'intero quantitativo pattuito e già pagato, tutto si fermerà, come spiega il ceo Alexiei Miller. Dopo l'interruzione dell'estate 2015, il flusso verso l'Ucraina era stato ri-garantito il 12 ottobre scorso: Kiev avrebbe pagato il richiesto in anticipo. Per questo Gazprom, dopo il mancato pagamento, ha chiuso i rubinetti. A Bruxelles fanno finta che il problema non sussista, perorando la tesi che «la Commissione Ue non ha nessuna preoccupazione» e anche in Italia il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, smorza i timori («stoccaggi riempiti al 90%»). Al di là delle parole di circostanza, ecco che l'allarme rosso suona però alla voce strategie energetiche. Mentre dall'Ue in serata filtra un altro commento acido («la minaccia paventata è propaganda») è nel Mediterraneo che sale la tensione. A dicembre ad Atene si terrà il trilaterale Grecia, Cipro, Egitto con Mosca attentissima ai possibili sviluppi, mentre solo tre giorni fa Putin ha incontrato i leader supremi iraniani, Ali Khamenei e il presidente Hassan Rouhani nel quadro della visita a Teheran programmata per partecipare al Forum dei paesi esportatori di gas.La questione del gas ucraino si mescola con il nodo che si è ulteriormente intrecciato negli ultimi sei mesi: il gasdotto «Turkish Stream». L'opera che tramite il mar Nero avrebbe dovuto condurre il gas sino al Mediterraneo, via Grecia, era stata avallata da Erdogan e Putin in persona. Erano i giorni in cui la retromarcia sul South Stream si sommava al cosiddetto Blue Stream da 20 miliardi di dollari per la costruzione di una centrale nucleare ad Akkuyu e proprio per un nuovo gasdotto. Lo scenario immaginato, quindi, era quello di un hub energetico regionale grazie ad un nuovo gasdotto da far transitare sotto il Mar Nero da 60 miliardi di metri cubi. Ma una serie di fatti accaduti in quell'area ne hanno mutato i destini: il riferimento è ai nuovi giacimenti trovati in Egitto, a quello che esiste a largo di Creta, all'ostruzionismo turco verso l'accordo siglato due anni fa tra Tel Aviv e Nicosia sul gas della Zee e soprattutto all'inaffidabilità politica del «sultano» di Ankara, su cui Mosca da tempo nutre dubbi per la sotterranea promiscuità con l'Isis. Solo dodici mesi fa Erdogan puntava il dito contro il lancio americano di rifornimenti e armi su Kobane: alcune delle armi paracadutate dai C-130 erano state sequestrate dallo Stato islamico ma nei fatti, come dimostrò la Cnn, favoriva il transito di adepti dell'Isis sul proprio territorio. Dopo eventi significativi come Gezi Park, lo scandalo corruzione del governo che coinvolse anche il figlio di Erdogan, ecco i timori fondati dell'infiltrazione di Isis sommati ad un approccio turco al terrorismo decisamente ambiguo.
E senza dimenticare che da Washington trapela la volontà di vendere shale gas a paesi mediterranei tramite il gruppo ellenico Copelouzos, che però è da tempo socio di Gazprom in Prometheus Gas SA: un'altra provocazione?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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