Se l'indagine conoscitiva del Parlamento sulla riforma dell'Irpef, quindi una serie di audizioni sul (timidissimo) tentativo del governo Conte II di tagliare le tasse, si è trasformata in un maxi spot per la patrimoniale, non è un caso.
A partire dalla prima metà di gennaio, in coincidenza con i primi scricchiolii del governo giallo rosso, davanti a deputati e senatori sono sfilate le più importanti autorità economiche del Paese. Quelle più di peso, Bankitalia, e Upb, hanno proposto la medesima ricetta: tassare patrimoni, consumi, redditi alti. Ieri, mentre Mario Draghi era impegnato nelle consultazioni, è stata la volta della Corte dei Conti.
Il presidente Guido Carlino ha ricordato come «un nuovo prelievo patrimoniale è stato recentemente invocato sia come metodo per contrastare la disuguaglianza, sia in relazione alla copertura dei costi della pandemia». Poi ha sottolineato come «un intervento su questo quadro piuttosto frammentato appare dunque auspicabile, anche se non si volessero affidare al prelievo patrimoniale ulteriori finalità redistributive o di reperimento delle risorse». Il presidente della magistratura contabile ha poi chiesto un riordino del quadro Irpef. E sottolineato come il tax gap, cioè la differenza tra quanto un sistema dovrebbe intascare e quanto entra effettivamente nelle casse dello Stato, sia particolarmente alto tra i lavori autonomi e imprese: 67,6%, pari a 32,7 miliardi, contro il 2,8% per i redditi da lavoro dipendente (4,4 miliardi). Anche la Corte, in sostanza, preme per tassare patrimoni, consumi. E per una semplificazione dell'Irpef. Che, spingendosi un po' nell'interpretazione, non può che significare la cancellazione dei regimi speciali.
Una grana per il nascente governo Draghi. Le pressioni per fare una riforma fiscale che faccia aumentare il peso delle tasse sono forti. Allo stesso tempo, un programma di governo che comprenda un giro di vite su imposizione e tributi diventerebbe difficilmente gestibile politicamente. Ancora brucia il precedente di Mario Monti, che ha già introdotto una patrimoniale da 21 miliari. I partiti che si sono mostrati disponibili verso il mandato all'ex presidente della Bce, potrebbero non accettare un aumento della pressione. Non Forza Italia (Lucio Malan ha detto che «non passerà mai», Maurizio Gasparri ha parlato di una «invasione di campo» da parte di Carlino). Non Matteo Salvini, che ha messo il no alla patrimoniale come una condizione centrale per il sì della Lega. Sul fronte opposto, ma sempre tra chi ha dato la sua disponibilità ad appoggiare il premier incaricato, il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha parlato di un «rafforzamento della progressività». Più chiaro il dem Matteo Orfini, che vede in un'altra patrimoniale «una battaglia politica alla quale non rinunciare».
Facile quindi immaginare che sarà proprio il capitolo fiscale a delimitare i confini della nuova maggioranza. E che sarà questa la prima sfida politica che Mario Draghi dovrà affrontare.
Un peso lo avranno anche le indicazioni emerse dall'indagine conoscitiva sul fisco di Camera e Senato. Tecniche, solo all'apparenza.
Molto vicine alle raccomandazioni paese dell'Unione europea che, come un mantra, da anni ripetono che l'Italia dovrebbe spostare la tassazione dal lavoro, ai patrimoni e ai consumi. Indicazioni sempre ignorate, ma che oggi sono state rilanciate con forza anche in patria.
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