Per liberare un ostaggio italiano a certe latitudini o si paga o si spara. E nel caso di Silvia Romano, liberata a 30 chilometri da Mogadiscio, la storia di un blitz potrebbe essere solo una copertura del riscatto versato per liberarla e farla tornare sana e salva in Italia.
La sopravvissuta deve la vita all'Aise, i servizi segreti per l'estero, guidati dal generale Luciano Carta da poco promosso a Leonardo per venire rimosso, dopo essere riuscito a liberare quattro ostaggi sotto il suo mandato. Il sequestro della giovane cooperante milanese è durato 536 giorni, ma dallo scorso anno era certo il suo trasferimento in Somalia nella mani degli Al Shaabab, i terroristi somali legati ad al Qaida. Le nostre barbe finte hanno operato dal compound dell'Onu di Mogadiscio, dove si trova anche il contingente di un centinaio di militari italiani che addestrano l'esercito somalo sotto la bandiere del'Unione europea.
Uno dei passaggi importanti della trattativa, come in ogni rapimento, è stato un video con Silvia, che rappresentava la classica prova in vita. La nostra intelligence ha collaborato con i servizi turchi e quelli somali. La Turchia è sbarcata da tempo a Mogadiscio per contrastare l'influenza dei paesi arabi rivali del Golfo puntando allo sfruttamento delle risorse energetiche somale. I militari turchi hanno letteralmente costruito l'accademia militare delle forze governative nella capitale. In pratica lo zampino di Erdogan a Mogadiscio è molto simile alla penetrazione in Libia al fianco del governo di Tripoli.
Ieri è circolata la notizia che la cooperante sia stata liberata in un blitz delle teste i cuoio somale e turche, che l'avrebbero strappata ad una banda di criminali comuni. Probabilmente si tratta di una cortina fumogena per coprire il pagamento del riscatto. Solitamente gli ultimi «prezzi» dei nostri connazionali in mano a bande jihadiste variava fra i 3 e 6 milioni di euro. Se ci fosse stato un blitz di successo sarebbero stati resi noti i video della liberazione con un indubbio valore propagandistico.
I servizi hanno confermato che Silvia ha cambiato tre covi, le tappe dei passaggi di mano dell'ostaggio. La giovane cooperante milanese era stata rapita il 20 novembre 2018 da un commando di uomini armati nel villaggio di Chakama, a circa 80 chilometri a ovest di Malindi, in Kenya. Le autorità locali hanno arrestato tre presunti sequestratori portandoli alla sbarra a Nairobi. Il rapporto con i carabinieri del Ros, spediti in missione in Kenya, sono stati non facili. L'aspetto incredibile è che uno degli imputati, il somalo Ibrahim Adan Omar, ha pagato 26mila euro di cauzione, una cifra esagerata in Kenya. Una volta liberato ha fatto perdere le sue tracce. Al momento il processo non è mai iniziato e il somalo in fuga potrebbe essere un tassello importante della pista che ha portato alla liberazione.
Silvia è stata trasferita in Somalia, poco tempo dopo il rapimento. In pratica sarebbe stata venduta o il sequestro era in qualche forma commissionato dagli Al Shaabab, «la gioventù» del terrore. La formazione jihadista, sorta nel 2012, conta su 10mila uomini in armi ed è la costola di al Qaida nel Corno d'Africa. Dal 2015 ha perso il controllo delle città come Chisimaio, ma è rimasta attiva nella aree rurali. Una parte dei terroristi ha giurato fedeltà allo Stato islamico, quando era guidato da Abu Bakr al Baghdadi. Il capo degli Al Shaabab, dopo l'eliminazione dei predecessori da parte dei droni americani, è Ahmad Umar con 6 milioni dollari di taglia Usa sulla testa. Il gruppo jihadista è specializzato in attacchi suicidi e un ostaggio come Silvia serviva a fare cassa.
Nella versione di copertura circolata ieri si sostiene che la cooperante fosse in mano a una banda di criminali comuni alle porte di
Mogadiscio. Non è escluso che l'intelligence sia riuscita a farla «comprare» da qualche clan somalo agli Al Shaabab nel terzo passaggio dell'ostaggio, con l'aiuto di turchi e somali, per evitare contatti diretti con i terroristi.
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