Silvia, sangue freddo e maestria. È la nuova «ragazza del Piper»

La 22enne alla cloche di un piccolo aereo in avaria sulle Dolomiti compie un atterraggio di emergenza e salva tre vite

A guardarlo dall'alto sembra una mosca stordita su un tappeto bianco. Ma è un piccolo aereo da turismo spiaggiato sul Lagorai, circa 100 metri a valle del bivacco Paolo e Nicola lungo il versante della Val di Fiemme (Predazzo) a una quota di circa 2.100 metri. Ce lo ha condotto per la cloche la giovanissima Silvia de Bon, ventidue anni sulla carta d'identità ma molti di più a parlar di sangue freddo e competenza.

Accade tutto nel pomeriggio di mercoledì. Silvia, un brevetto italiano da pilota e quello statunitense preso da pochissimo in Florida, decide di farsi una gitarella ad alta quota con il fratello Mattia, di 27 anni, e con la di lui fidanzata Giorgia Qualizza, di 28. Tutti e tre montanari di Longarone, nel bellunese, e come tutti i montanari con un senso tutto loro dell'avventura. I giovani noleggiano il Piper PA28, un piccolo aereo da turismo all'aeroclub di Belluno Arturo Dell'Oro e si dirigono verso Trento, un centinaio di chilometri in linea d'aria attraverso montagne che Silvia e gli altri conoscono benissimo. Al momento del decollo, in realtà, qualcosa va storto, il motore fa fatica ad accendersi, sintomo di un'inefficienza del motore forse sottovalutata dalla ragazza, che comunque chiama il suo istruttore per chiedere consiglio. Cosa si dicano i due non si sa ma evidentemente la ragazza viene rassicurata al punto di decidere di affrontare i cieli con quella scatoletta non troppo affidabile. Una volta sopra Cima Cece però il velivolo prende a tossicchiare, quindi perde rapidamente di potenza e inizia a precipitare. Silvia pensa «cacchio, ora mi schianto», poi decide di non arrendersi: ripesca le fresche nozioni imparate sugli atterraggi di emergenza, che probabilmente sperava di non dover mettere in pratica così presto nella sua carriera di pilota, e riesce a far atterrare il velivolo in un avvallamento innevato sul gruppo del Lagorai, in Trentino, un centinaio di metri più a valle del bivacco Paolo e Nicola, nel territorio del comune di Predazzo e lungo il versante della Val di Fiemme, a 2.100 di altezza. L'atterraggio certo non è dolce, i vetri del piccolo aereo esplodono e colpiscono i tre passeggeri, in particolare Silvia, che finisce ferita in modo lieve alla parte sinistra del volto. Malgrado ciò, e malgrado un brevissimo stordimento dovuto allo stress della manovra, Silvia e i suoi passeggeri riescono a uscire dalla carcassa del velivolo, a ricavare l'esatta posizione in cui si trovano grazie a un'applicazione e a chiamare il 112 per farsi soccorrere. Quindi con le gambe che tremato dalla paura risalgono la montagna fino al rifugio dove aspettano l'arrivo dell'elisoccorso. I tre giovani finiscono in codice rosso all'ospedale Santa Chiara di Trento, dove Mattia e Giorgia vengono medicati, tranquillizzati e quindi dimessi e riportati a Longarone dal papà di Mattia e Silvia, Ettore, accorso con la sua autovettura; mentre la sola Silvia - che nella vita si occupa di accoglienza in un hotel ampezzano - viene ricoverata al reparto Chirurgia degenze brevi, dove dimentica i doloretti con i suoi racconti: «Ho fatto atterrare l'aereo di pancia, mettendo in piano con il pendio. So che non si fa ma questo ci ha salvato. Lo schianto? Non ricordo niente». Poco distante il padre la butta là: «Spero che Silvia lasci perdere i voli, anche se lei mi dice sempre che è più probabile morire in un incidente stradale piuttosto che in volo».

Sull'incidente sono

state aperte due inchieste, una della Procura di Trento e una dell'Agenzia nazionale per la sicurezza dei voli. L'area dell'incidente è stata messa in sicurezza ancorando il velivolo a un masso e svuotandone il serbatoio.

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