E adesso pure il «Renatino» del Cav, i1 Brunetta di lotta e di governo, il ministro forzista più insultato d'Italia, quello detestato dai sindacati, il professore che diceva «i fannulloni stanno spesso a sinistra», è diventato utile alla causa. È bastato poco. Il tempo di smarcarsi dalla linea di Forza Italia, di sostenere che il centrodestra è perdente «se l'egemonia resta in mano a Lega e Fdi», e di proporre una coalizione moderata e antisovranista che ricomponga i tre poli europei socialista, liberale e popolare in sostegno di Draghi, ecco, è stato sufficiente questo per trasformarlo in un alleato. Dunque «l'energumeno tascabile», come lo definiva Massimo D'Alema, oggi è «il compagno Renato»: Andrea Orlando già da mesi lo chiama così. E dopo aver tentato di dividere Salvini e Meloni, la caccia al dissidente continua con Mariarosaria Rossi.
Ora non è chiaro se il ministro per la Pubblica amministrazione si trovi bene in tali panni. Vestiti stretti e scomodi se si guarda ai precedenti, ai luogotenenti di Silvio Berlusconi che negli anni si sono distaccati dal fondatore, hanno cannoneggiato il quartier generale, sono stati arruolati dal centrosinistra e in genere hanno concluso la corsa politica in un binario morto. Fini e Alfano, tanto per dire: annichiliti, bruciati, dimenticati, ai giardinetti. O Toti, ridimensionato. O Parisi e Urbani, il nuovo manager prestato alla politica e la tessera numero due di Forza Italia: spariti dal radar.
La maledizione del delfino. In grande spolvero, vicino al capo, pronto a raccoglierne l'eredità, poi ci si accorge che il Cavaliere non ha intenzione di mollare, o che il pretendente pretende troppo, così finisce nel cono d'ombra, comincia a dissentire e subito viene corteggiato dal campo avverso. Gianfranco Fini, ad esempio, per 17 anni è andato d'amore e d'accordo con Berlusconi, che l'ha tolto dal ghetto missino. Poi con la nascita del Pdl, sono esplose le frizioni, i contrasti sulla gestione e sull'idea del partito unico: «Che fai, mi cacci?». Frattura insanabile, gli omaggi della sinistra, l'avventura centrista con Mario Monti, il rapido declino.
Angelino Alfano era invece il cocco di casa. Ministro della Giustizia a 38 anni, vicepresidente di Fi, addirittura segretario. Poi il Cavaliere si accorse che non aveva «il quid». Nel 2013, stagione delle larghe intese, Alfano era comunque ancora vice premier e ministro dell'Interno, cariche che ha mantenuto pure dopo la rottura del patto. Divenuto leader del cespuglio Ncd, incensato dal centrosinistra, galleggerà tra Viminale e Farnesina nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, per tornare infine all'avvocatura.
Giovanni Toti, un altro predestinato: il Parlamento europeo, la presidenza della Liguria, il soggiorno in beauty farm con Berlusconi, le ambizioni appena celate. È durato finché è durato. Nel 2018 l'addio a Forza Italia dopo aver chiesto primarie aperte e azzeramento del gruppo dirigente, qualche infruttuoso approccio da parte progressista, il ruolo di anello di congiunzione tra moderati e sovranisti, poi si è stancato e con il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha fondato Cambiamo! e Coraggio Italia.
Per non parlare di Giuliano Urbani, cofondatore di Fi, ideatore del Polo delle libertà. In auge per qualche anno, apprezzato dal centrosinistra, uscito nel 2009 dalla politica.
Una parabola lampo invece quella di Stefano Parisi, che dopo aver sfiorato la vittoria a Milano fu stroncato dal Cavaliere. «Cerca un ruolo nel centrodestra, ma non può averlo in contrasto con Salvini». Ora tocca a Renatino. Entrerà nel Pantheon della sinistra? O le cose si ricomporranno? «Per Brunetta c'è tempo», la sentenza di Matteo.
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